Si segnala l’ordinanza n. 13316/2023 della Suprema Corte di Cassazione in tema di riconoscimento dell’assegno divorzile (art. 5. L. 898/1970) in funzione perequativo-compensativa.
La Cassazione, richiamata la nota sentenza n. 18287/2018 delle Sezioni Unite, ribadisce che la mera disparità economica tra i coniugi non giustifica la corresponsione da parte di quello più facoltoso di un assegno in favore dell’altro. Neppure di per sé rileva la circostanza che il coniuge meno abbiente si sia dedicato, in misura prevalente, alla cura della casa e dei figli.
È necessario, per contro, che il coniuge “debole” dimostri di aver sacrificato, sulla base di una scelta condivisa con l’altro, le proprie aspettative professionali e reddituali per dedicarsi alla famiglia. La prova di tali circostanze, che grava sul richiedente, può essere fornita anche tramite presunzioni semplici.
In altre parole, lo squilibrio patrimoniale-reddituale tra i coniugi non rileva di per sé ma solo ove esso sia riconducibile alle scelte condivise dei coniugi in merito alla conduzione della vita familiare e all’assunzione di diversi ruoli e compiti all’interno della famiglia.
Nel caso sub iudice, la Corte d’Appello di Salerno, ravvisato uno squilibrio tra le condizioni economiche degli ex coniugi, aveva ritenuto rilevanti ai fini del riconoscimento dell’assegno in favore della moglie i seguenti elementi: (i) la professione svolta dal marito, titolare di uno studio notarile, già avviato al momento del matrimonio; (ii) la circostanza che la moglie, d’accordo il marito, fosse andata in prepensionamento all’età di quarantuno anni. La Corte d’Appello aveva altresì ritenuto provata, per presunzioni semplici, tenuto conto della impegnativa professione svolta dal marito, la circostanza che la moglie aveva contribuito in modo rilevante alla conduzione della vita familiare e alla crescita dei figli. In questo quadro, il Giudice d’Appello aveva riconosciuto alla moglie l’importo di € 400/mese a titolo di assegno di divorzio.
La decisione d’appello è impugnata dal marito, che lamenta che non poteva affatto ritenersi raggiunta la prova che la moglie avesse contribuito alle necessità della famiglia con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali.
In ordine alle censure sollevate dal ricorrente la Cassazione osserva che la Corte d’Appello aveva esattamente applicando i principi affermati dalle Sezioni Unite con la richiamata pronuncia n. 18287/2018. In particolare, ravvisata l’esistenza di uno squilibrio patrimoniale tra i coniugi, il Giudice di merito aveva correttamente provveduto a indagare se lo stesso potesse ricondursi al fatto che la moglie si fosse fatta carico, in misura prevalente, sulla base di una scelta condivisa con l’altro coniuge, dei compiti genitoriali e di gestione della famiglia.
A fronte di ciò, risultando preclusa in sede di legittimità ogni rivalutazione nel merito degli elementi di fatto valorizzati dalla Corte d’Appello ai fini del riconoscimento del diritto della moglie a percepire l’assegno, la Cassazione conclude per l’inammissibilità del ricorso.
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