L’assegno di divorzio: In viaggio di ritorno al tenore di vita? in famiglia e diritto, 2022, I, pagg. 79-87

L’antefatto. I rapporti patrimoniali nella fase fisiologica e nella crisi della famiglia: regime patrimoniale primario e secondario a confronto

Per porre nella giusta prospettiva le recenti evoluzioni giurisprudenziali in tema di assegno divorzile sembra utile muovere da alcuni dati statistici. Nel 1965 furono celebrati 399.009 matrimoni (5.028 civili e 393.981 concordatari), nel 1970 395.509 (8.920 civili e 386.589 concordatari), nel 1987 306.264 (44.417 civili e 261.847 concordatari), nel 2000 284.410 (70.155 civili e 214.255 concordatari), nel 2019 184.088 (96.789 civili e 87.299 concordatari). Dunque, si è verificato un progressivo declino del matrimonio; per contro, il rapporto tra divorzi e matrimoni è in ascesa costante: un divorzio su 23,6 matrimoni celebrati nel 1971; uno su 11,3 nel 1987; uno su 7,56 nel 2000; uno su 2,15 nel 2019[1].

Sono dati che portano, in primo luogo, a chiedersi quanto sia attuale l’odierna disciplina legale dei rapporti patrimoniali tra coniugi, pensata in un’epoca (gli anni Settanta) in cui il matrimonio rappresentava l’unica veste giuridica della famiglia, in conformità al modello costituzionale. Un matrimonio tendenzialmente indissolubile, che solo in casi specifici poteva essere sciolto per divorzio, istituto allora di recente introduzione, socialmente non sempre accettato e che recava con sé, in ultima analisi, un profilo sanzionatorio, stante il nesso con il previgente regime della separazione giudiziale fondata sulla colpa.

Il legislatore del ‘75, nel riscrivere l’intero diritto di famiglia in attuazione dei precetti costituzionali di eguaglianza morale e giuridica tra coniugi, ha regolato i loro rapporti patrimoniali in modo complesso, differenziando i principi ispiratori del regime patrimoniale c.d. primario e di quello c.d. secondario, in una prospettiva che assume particolare rilevanza, come si vedrà, a proposito dell’assegno divorzile.

Qui basti ricordare che il regime patrimoniale primario è costituito da quell’insieme di regole inderogabili che disciplinano il momento contributivo, cioè gli obblighi che il legislatore pone a carico di ciascun coniuge di collaborare nell’interesse della famiglia e di contribuire ai suoi bisogni, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, sulla base dell’indirizzo della vita familiare tra loro concordato (artt. 143 e 144 c.c.)[2]. È chiaro che la disciplina dei profili riconducibili al regime primario, come sopra tratteggiato, si informa al principio di solidarietà ed è pertanto inderogabile. Al contrario, per quanto attiene al regime patrimoniale secondario, che è quello destinato a regolare l’allocazione delle ricchezze acquisite e non consumate durante il matrimonio, cioè il momento distributivo, il legislatore lo ha corredato di un ampio riconoscimento dell’autonomia, potendo i coniugi scegliere tra il regime legale della comunione dei beni e quello convenzionale della separazione. L’ordinamento indica come preferenziale un possibile assetto, quello della comunione dei beni, lasciando peraltro ai coniugi la libertà di adottare, con autonoma valutazione di opportunità e mediante apposite convenzioni, un diverso regime. Segno questo che non si è inteso attribuire alla allocazione dei beni acquistati dopo il matrimonio una funzione tipizzante della vita familiare, come invece accade con gli obblighi di contribuzione. È a tutti noto che il regime della comunione legale – che certamente nel quadro legislativo costituiva quello più coerente rispetto al modello familiare comunitario divisato dalla Riforma – ha avuto un impatto complesso con la realtà sociale[3] tanto che il regime di separazione ha da tempo riscosso ampi e crescenti consensi e che, dopo un’iniziale adesione delle coppie alla comunione dei beni negli anni immediatamente a ridosso della riforma, si è assistito a un progressivo abbandono del regime legale, evidentemente giudicato troppo rigido e scarsamente funzionale.

I dati statistici confermano la sopravvenuta inadeguatezza del modello legale, concepito in una realtà sociale lontana da quella attuale caratterizzata dalla raggiunta parità uomo donna e dalla diffusa instabilità matrimoniale. Nel 2004 su 248.969 nuovi matrimoni, 139.336 coppie optarono per la separazione dei beni e 109.633 per la comunione legale, nel 2012 su 204.830 nuovi matrimoni, 134.990 per la separazione dei beni e 67.840 per la comunione legale, nel 2019, su 184.088 nuovi matrimoni, 133.934 per la separazione dei beni e 50.154 per la comunione legale[4].

Dunque il regime patrimoniale secondario è affidato alla libera scelta degli sposi, che, specie quando appartenenti a classi sociali medio alte, quasi di routine optano per la separazione dei beni.

Un consimile trend induce anche a considerare il problema – finora rimasto in ombra nella nostra esperienza giuridica – di garantire che l’esercizio dell’autonomia privata sia adeguatamente informato e quindi consapevole. In altre parole, similmente a quanto accade negli ordinamenti di common law, appare opportuno che l’ordinamento si doti di strumenti idonei a far sì che i nubendi siano chiamati a riflettere sulle implicazioni patrimoniali delle scelte che essi possono compiere prima di celebrare il matrimonio e nel corso della relazione coniugale. Ciò al fine di evitare che scelte inconsapevoli possano pregiudicare i diritti di un coniuge a seguito dell’eventuale rottura del rapporto, come ad esempio può accadere a chi, di intesa con il coniuge, abbia convenuto il regime di separazione dei beni e optato per svolgere un ruolo casalingo[5].

In conclusione, il regime patrimoniale primario è caratterizzato dalla solidarietà e dalla inderogabilità mentre quello secondario è improntato all’autonomia e quindi all’autoresponsabilità rispetto alle scelte di ciascun coniuge e alle loro conseguenze[6].

Nel suo insieme il sistema dei rapporti patrimoniali tra coniugi appare concepito per un matrimonio tendenzialmente indissolubile, che da lungo tempo però non è tale per l’incrementarsi dei divorzi (1 su 2,15 matrimoni nel 2019). Ciò ha fortemente scompaginato le carte dando vita al noto travaglio giurisprudenziale, in quanto l’assetto dei rapporti patrimoniali dopo il divorzio muta radicalmente.

Quanto al regime primario tendenzialmente tutto si azzera, venendo meno i presupposti di vita comune che stanno alla base degli obblighi inderogabili di contribuzione di cui si è detto. Può tuttavia realizzarsi una trasformazione di quegli obblighi, rispetto alla quale si parla, ma non da tutti, di solidarietà post coniugale, recata dalla disposizione dell’art. 5, comma 6, L. n. 898/1970, la cui interpretazione tanto ha impegnato giudici e avvocati[7].

Quanto al regime patrimoniale secondario, anche se i coniugi avessero optato per il regime della comunione, esso cessa trasformandosi in comunione ordinaria da sciogliersi ai sensi dell’art. 191 c.c. secondo le apposite regole[8].

Quello che certamente manca è un collegamento, che altrove si realizza[9], tra questi due distinti ma in realtà connessi profili, solo in parte attuabile ad opera del giudice sulla base della previsione di cui all’art. 5, comma 6, che impone al Tribunale nel determinare l’assegno di tenere conto del “contributo personale ed economico dato alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune”.

Quanto precede spiega le ragioni profonde del travaglio giurisprudenziale che interessa gli istituti della crisi e le difficoltà ad enunciare e ad applicare regole che consentano di coniugare con equilibrio solidarietà e autoresponsabilità.

La crisi della coppia e le alterne vicende dell’assegno divorzile

Da tali premesse occorre prendere le mosse per fare il punto (ovviamente provvisorio) sulla questione dell’assegno divorzile, le cui alterne vicende, a ben vedere, costituiscono una sorta di cartina di tornasole rispetto all’individuazione del valore, giuridico e sociale, del vincolo matrimoniale.

Secondo il testo originario dell’art. 5, L. n. 898/1970, “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio il tribunale dispone, tenuto conto delle condizioni economiche dei coniugi e delle ragioni della decisione l’obbligo per uno dei coniugi di somministrare a favore dell’altro periodicamente un assegno in proporzione alle proprie sostanze e ai propri redditi. Nella determinazione di tale assegno il giudice tiene conto del contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi. Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in una unica soluzione”[10].

Come si vede, nessun riferimento alla durata del matrimonio, preso in considerazione come atto in sé, piuttosto che come rapporto prolungatosi nel tempo. È evidente che questa previsione sia specialmente orientata a finalità di compensazione da assicurarsi al coniuge debole e comunque rechi con sé una natura composita da riconoscersi all’assegno: assistenziale, risarcitoria e compensativa. La norma è coerente con l’idea di un divorzio quale rimedio eccezionale – avente un carattere spesso sanzionatorio -, e tiene conto del fatto che i matrimoni sino ad allora celebrati erano indissolubili e che la risolubilità era intervenuta quasi retroattivamente.

Con riguardo a detta disposizione, occorre ricordare che le Sezioni Unite nel 1974 affermarono il seguente principio di diritto: “L’assegno di divorzio non ha natura alimentare, ma ha natura composita: con funzione assistenziale (in quanto, attraverso la considerazione delle condizioni patrimoniali dei coniugi, tutela quello la cui situazione patrimoniale si sia deteriorata per effetto dello scioglimento del matrimonio), risarcitoria (in quanto, avendo riguardo alle ragioni della decisione, attribuisce rilievo, agli effetti patrimoniali, alla responsabilità per il fallimento del matrimonio) e compensativa (in quanto, mediante il riferimento al contributo dei coniugi alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di entrambi, è diretto a compensare l’impegno personale e gli apporti economici prestati in vista del benessere della famiglia). Gli elementi su indicati operano sia come criteri di attribuzione sia come parametri di determinazione e vanno tutti esaminati, con riguardo alla posizione di entrambe le parti”[11].

Nel 1987, sulla scia di molteplici sollecitazioni critiche[12], il legislatore intervenne modificando il comma 6 dell’art. 5 (tuttora in vigore) come segue: “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”[13].

Sono evidenti le plurime innovazioni introdotte, in modo particolare il riferimento alla durata del matrimonio e, soprattutto, ai mezzi adeguati di cui il coniuge richiedente non abbia disponibilità. Sembra dunque prevalente il riconoscimento della natura assistenziale dell’assegno[14].

Di qui l’applicazione bifasica della disposizione, che, a partire dal 1990, è stata seguita[15].

Naturalmente, il tema dei mezzi adeguati reca con sé l’individuazione del tertium comparationis, in quanto quello dell’adeguatezza è un parametro relativo, che, per essere determinato, richiede necessariamente una correlazione di riferimento tra i mezzi di cui concretamente dispone l’ex coniuge, che sono certi, e quelli, incerti e da determinarsi, cui astrattamente ha diritto. Di qui il riferimento al tenore di vita precedentemente goduto, predicato dalle Sezioni Unite del 1990[16] e più di recente condiviso dalla Corte costituzionale[17], seguito dalla giurisprudenza per quasi trent’anni; oppure quello, repentinamente formulato dalla Cassazione nel 2017[18], al possesso in capo al coniuge richiedente (o alla capacità di procurarsi) mezzi tali da consentire un’esistenza libera e dignitosa.

Come dire: solidarietà versus autoresponsabilità.

In questo quadro, solidarietà significa consentire all’ex coniuge di mantenere il tenore di vita preesistente, salvi gli aggiustamenti dovuti in applicazione di tutti i criteri enunciati dalla legge, in una visione ribattezzata “criptoindissolubilista” del matrimonio; autoresponsabilità significa, sulla scia del paragrafo 1569 del codice civile tedesco, che dopo il divorzio ciascuno dei coniugi deve farsi carico del proprio mantenimento[19].

A mio avviso, la questione non si risolve nell’affermazione di un criterio ai danni di un altro, come testimonia la nota decisione Cass. Civ., SS.UU., n. 18287/2018[20], che indubbiamente ha sparigliato le carte.

Il testo della decisione evidenzia la difficoltà di girare pagina e risulta particolarmente complesso e tormentato[21]. Per contro, chiarissimo risulta il principio di diritto che chiude la motivazione, il quale tuttavia non riferisce integralmente i passaggi qualificanti elaborati nella stessa motivazione[22].

Volendo sintetizzare l’articolato decisum enunciato dalle Sezioni unite, penso possa dirsi che esse abbiano riscritto l’art. 5, comma 6 della legge come segue: “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno, quando quest’ultimo non ha, o comunque non può procurarsi per ragioni oggettive, mezzi adeguati alle condizioni dei coniugi, alle ragioni della decisione, al contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, al reddito di entrambi. Tutti i suddetti elementi devono essere valutati in rapporto alla durata del matrimonio”.

Sembra l’Uovo di Colombo, ma in realtà la riscrittura a mio avviso operata dalle Sezioni Unite – secondo lo schema espositivo della norma originaria come emanata dal legislatore del 1970 e con le integrazioni introdotte nel 1987 – non si riduce affatto ad un mero taglia e incolla della vigente disposizione di legge.

La funzione compensativa e perequativa dell’assegno divorzile

A ben vedere, infatti, in forza dell’intervento delle Sezioni Unite, da un testo formalmente invariato, sembra scaturire una norma nuova, alla quale la Corte perviene attraverso la revisione critica dei precedenti orientamenti e muovendo dalla rivalutazione del quadro costituzionale di riferimento, costituito dagli artt. 2, 3 e 29 Cost.[23].

La chiave di volta del revirement è rappresentata dall’affermazione che il principio dell’eguaglianza morale e giuridica tra marito e moglie si coniuga indissolubilmente con l’autodeterminazione – che riguarda “la scelta di unirsi e di sciogliersi dal matrimonio” – e determina “la peculiarità della relazione coniugale così come declinata nell’art. 143 c.c., norma che ne costituisce la perfetta declinazione”[24].

Sotto questo riguardo, l’innovativa sentenza appare coraggiosa e condivisibile, considerato che, come ebbi già a rilevare in sede di primo commento[25], l’art. 143 c.c., attuando l’art. 29 Cost, dopo aver stabilito che con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri, dispone che entrambi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia. Dunque, gli sposi, in linea di principio, sono obbligati, tendenzialmente in pari misura, ancorché eventualmente con modalità differenti – a seconda della concordata attuazione delle rispettive capacità di lavoro possedute – a fare fronte alle esigenze familiari, che possono essere soddisfatte direttamente, attraverso la prestazione di cura, servizi o beni forniti dai coniugi, ovvero, indirettamente, mediante la messa a disposizione di risorse patrimoniali[26]. Gli stessi criteri informano l’obbligo dei coniugi di mantenere, istruire ed educare e assistere moralmente i figli.

La concreta configurazione dei compiti dei coniugi e il relativo bilanciamento della contribuzione discendono dagli accordi conclusi – ovviamente anche in via di fatto – tra loro ai sensi dell’art. 144 c.c.[27].

È evidente che il contenuto di tali accordi – che debbono uniformarsi ai principi costituzionali di solidarietà e di eguaglianza ex artt. 2, 3, 29, 30 e 37, comma 1, Cost. – può dar luogo a svariati assetti familiari, che spaziano dal modello tradizionale, caratterizzato da una netta separazione di compiti tra marito e moglie e tra padre e madre, a quelli contemporanei, in cui si rinviene una tendenziale fungibilità delle funzioni e dei contributi dei coniugi. La sentenza si concentra soprattutto sul modello tradizionale, in particolare sulle relazioni coniugali di lunga durata, ancorché non scenda mai a menzionare la funzione genitoriale dei coniugi, già assolta o ancora da assolversi dopo il divorzio, che, ai fini dell’assegno, ben può considerarsi rilevante in quanto da ricomprendersi[28] nella voce “contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare”.

Proprio il forte richiamo al principio di solidarietà recato dalla sentenza manifesta, a mio avviso, una significativa inversione rispetto alle tendenze, che parevano destinate a prevalere, di svalorizzazione del legame matrimoniale e di incondizionata affermazione del diritto di ciascuno sposo di liberarsi dei relativi vincoli, recante l’obbligo dell’altro di provvedere a se stesso, oramai persona singola senza passato[29]. L’art. 29, col riconoscere i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio porta con sé l’idea stessa di una comunità solidale, come poi è esplicitato dal comma 2 che, nell’enunciare l’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi ne prevede limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare, che, nella visione del legislatore costituente, rappresenta la manifestazione suprema della solidarietà familiare[30].

Ma oggi, sembra aver detto la Corte di cassazione, occorre considerare che l’impegno solidaristico deve fare i conti con la libertà individuale di separarsi, divorziare e costituire una nuova famiglia[31], cosicché è proprio nel momento della rottura che esso viene alla ribalta.

Quindi, il principio di eguaglianza deve trovare applicazione sia nella fase fisiologica della vita matrimoniale sia, più ancora, nella fase della sua rottura, per evitare che, sciolto il vincolo, si producano effetti vantaggiosi solo per una parte: si tratta di ristabilire una situazione di equilibrio che con lo scioglimento del vincolo può venire a mancare[32].

In breve, l’assegno deve riequilibrare l’assetto economico patrimoniale degli ex coniugi e deve garantire un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare pregressa[33].

Questa è sembrata la novità rispetto a tutti gli orientamenti precedenti, a partire da quello del 1974 in poi.

In questo quadro tra solidarietà e autoresponsabilità si realizza una singolare sintesi: la scelta matrimoniale, infatti, reca con sé l’assunzione dell’obbligo, autoresponsabilmente assunto, di fare in modo che i coniugi escano dal matrimonio in condizioni di eguaglianza. L’applicazione di un consimile principio non configura affatto una “locupletazione illegittima”, bensì, se correttamente eseguita sulla base dei criteri di legge, la coerente conseguenza delle scelte “autoresponsabilmente” effettuate durante la vita matrimoniale. Ne emerge dunque una nozione di autoresponsabilità ben diversa da quella cui fanno riferimento le richiamate disposizioni del BGB: in quel contesto, autoresponsabilità significa che, dopo il divorzio, il coniuge deve provvedere al proprio mantenimento; secondo il principio enunciato dalle Sezione Unite, per contro, il coniuge maggiormente dotato è tenuto a darsi carico di riequilibrare la situazione economico-patrimoniale dell’altro che risulti pregiudicata dalle decisioni liberamente assunte all’atto del matrimonio e attuate durante la vita matrimoniale. In ogni caso, la nozione di autoresponsabilità non va confusa con quella di autosufficienza[34] e infatti, secondo le Sezioni Unite, il diritto all’assegno può ben coesistere con la condizione di mera autosufficienza del richiedente, diversamente da quanto predicato dalla precedente sentenza Cass. Civ., Sez. I, n. 11504/2017.

La concreta attuazione del principio solidaristico

A mio modo di vedere, il principio solidaristico esige che, al venir meno della comunione spirituale e materiale, in presenza di un dislivello reddituale conseguente alle comuni determinazioni assunte dai coniugi e al diverso contributo dato nella conduzione della vita familiare, corrisponda un assegno che – in applicazione dei criteri legali, primo fra tutti la durata del matrimonio – renda tendenzialmente equilibrate le loro condizioni di vita. Il giudice è pertanto chiamato al compito di attribuire a quello più debole una quota del reddito dell’altro tale da far sì che essi escano dal matrimonio in condizioni di equilibrio, da determinarsi sempre in consonanza ai criteri determinativi di legge[35]. Questa è l’applicazione del principio di “autoresponsabilità” intesa come necessità di sopportare le conseguenze delle scelte e dell’agire compiuti.

È ovvio che questa operazione reca con sé margini di apprezzamento assai ampi e pertanto non risulta persuasiva l’affermazione della sentenza che un consimile procedere non determini un incremento della discrezionalità del giudice di merito. Invero, a fronte di taluni profili determinati o determinabili, come il divario economico patrimoniale, la durata del matrimonio, l’età, i compiti effettivamente svolti da ciascuno dei coniugi, vengono in rilievo parametri del tutto ipotetici, specialmente quelli attinenti alle aspettative professionali e reddituali sacrificate in funzione dell’assunzione del ruolo trainante endofamiliare.

Il profilo è di singolare rilevanza: la motivazione precisa che, ove la disparità reddituale e patrimoniale dipenda dalle determinazioni comuni e dai ruoli endofamiliari svolti e sia accertato che lo squilibrio economico patrimoniale conseguente al divorzio derivi dal sacrificio di aspettative professionali e reddituali fondate sull’assunzione di un ruolo consumato esclusivamente o prevalentemente all’interno della famiglia e dal conseguente contributo fattivo alla formazione del patrimonio comune e a quello dell’altro coniuge, occorre tenere conto di questa caratteristica della vita familiare nella valutazione dell’inadeguatezza dei mezzi e dell’incapacità del coniuge richiedente di procurarseli per ragioni oggettive.

Il punto focale di questo ragionamento riguarda l’accertamento del sacrificio di aspettative professionali e reddituali. Invero la giurisprudenza, specie di merito[36], ha enfatizzato questo aspetto, che a parere di chi scrive è assai problematico, visto che in alcun modo figura nella tavola dell’art. 5, comma 6, l. Div. e neppure, come si è osservato sopra, nel principio di diritto della sentenza. In definitiva, quello del sacrificio di opportunità professionali non può essere un parametro dirimente, nel senso che, al verificarsi delle condizioni di legge, l’assegno potrà essere dovuto indipendentemente dalle opportunità professionali perdute, come di recente la stessa Cassazione ha persuasivamente precisato[37].

È ovvio che il coniuge che abbia rinunciato ad una certa carriera professionale avviata e sicura pretenda un riconoscimento di questo sacrificio, come è altresì ragionevole che quello che non ha rinunciato ad una specifica professionalità abbia meno da pretendere. Ma anche in questo caso, ancorché non vi sia alcuna chance da risarcire, se c’è un “lavoro casalingo” (art. 143 c.c.) da retribuire, esso andrà monetizzato sulla base di una valutazione solidaristica che tenga conto delle reali condizioni reddituali e patrimoniali del coniuge forte e non in base a criteri estrinseci[38]. Il che significa che l’assegno non potrà parametrarsi automaticamente né all’entità del potenziale reddito che il coniuge avrebbe percepito qualora si fosse dedicato all’attività di cui era – in atto o in potenza – capace, né al costo del lavoro domestico, dovendosi tener conto, al contrario, che in virtù dei principi solidaristici e della lettera stessa della legge, l’assegno deve essere misurato sul reddito del coniuge forte.

La statuizione delle Sezioni unite n. 18287/2018, come è stato efficacemente scritto, “rappresenta forse il maggiore sforzo che l’interprete può profondere per leggere la disciplina vigente in quell’ottica “perequativo-compensativa” che la rende allineata al principio costituzionale di pari dignità dei coniugi”[39]: resta tuttavia la constatazione che l’assegno di divorzio per il suo carattere periodico non sempre è in grado di svolgere una ragionevole perequazione[40], la quale meglio potrà essere attuata attraverso un intervento legislativo che adegui il nostro ordinamento a quelli che contemplano la ripartizione delle risorse e del patrimonio familiare pregresso[41].

Proprio muovendo da tale ultima perspicua considerazione, deve considerasi che, di recente, sempre le Sezioni Unite[42], nel decidere se l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto con un terzo, da parte del coniuge titolare dell’assegno divorzile, ne comporti l’estinzione, hanno offerto rilevanti approfondimenti in merito ai presupposti dell’attribuzione di detto assegno, sul solco segnato dalla sentenza n. 18287/2018; in particolare con riguardo alla funzione compensativa connessa al contributo fornito dal richiedente all’interno della disciolta comunione di vita nella formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale dell’altro coniuge. In proposito, le Sezioni Unite nella sentenza n. 32198/2021 collegano la “componente compensatorio-perequativa dell’assegno di divorzio” al “contributo dato alla formazione del patrimonio familiare e dell’altro coniuge nell’arco di tempo definito dal matrimonio”, ulteriormente specificando che detta componente “rimarrebbe irrimediabilmente perduta per l’ex coniuge che pure ha contribuito alla formazione del patrimonio personale dell’altro coniuge, accettando di rinunciare ad occasioni di lavoro o [enfasi dello scrivente] dedicandosi alla famiglia per facilitare la progressione in carriera dell’altro coniuge e la formazione di un patrimonio negli intenti destinato ad essere comune ma rimasto, a cagione dello scioglimento del progetto di vita comune, appannaggio dell’altro coniuge”.

Sempre con riferimento ai presupposti dell’attribuzione dell’assegno divorzile in virtù della componente compensativo-perequativa, la sentenza precisa che “se all’esito del divorzio l’ex coniuge che abbia instaurato una nuova convivenza stabile chieda l’attribuzione dell’assegno di divorzio, si dovrà accertare, con onere della prova a carico del richiedente, se la sua attuale mancanza di mezzi adeguati sia da ricondurre [omissis] alle determinazioni comuni e ai ruoli endofamiliari assunti di comune accordo, e cioè [che] si accerti se i coniugi abbiano, di comune accordo, pianificato che uno di essi sacrificasse le proprie realistiche prospettive professionali-reddituali, agli impegni familiari e casalinghi, così da ritrovarsi a matrimonio finito, fuori dal circuito lavorativo o comunque in una condizione diversa e deteriore rispetto a quella in cui si sarebbe trovato se non avesse dovuto rinunciare ad opportunità favorevoli per scelte familiari concordemente adottate”.

A ben vedere, la motivazione non è del tutto univoca proprio con riferimento alla rilevanza del sacrificio di aspettative professionali e reddituali, che in alcuni punti sembrano rappresentare presupposto necessario del riconoscimento della componente compensativo-perequativa, mentre in altri passaggi paiono degradare a componente eventuale. Pare tuttavia a chi scrive che, integrando l’ampia motivazione con quella assai sintetica ma efficace della richiamata ordinanza Cass. Civ. n. 29195/2021[43] – alla cui stregua il mancato sacrificio di aspettative professionali ed economiche del coniuge debole può incidere, riducendola, sulla componente perequativa-riequilibratrice dell’assegno di mantenimento, comunque da riconoscersi ove risulti che il coniuge abbia con le proprie maggiori incombenze familiari contribuito, oltre alla realizzazione della vita familiare, al successo professionale (ed economico) dell’altro coniuge e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale di tale coniuge -, trovi conferma che il sacrificio di opportunità professionali non rappresenti un parametro dirimente, ma rilevante esclusivamente ai fini della determinazione del quantum.

La questione ovviamente assume particolare evidenza nell’ambito dei divorzi ricchi: l’operaia che abbia sposato l’imprenditore rinunciando al proprio salario ed essendosi integralmente dedicata alla cura della famiglia, dopo quarant’anni di matrimonio, non potrà sentirsi dire che le spetta un assegno commisurato alla retribuzione cui ha rinunciato o al valore del lavoro domestico, perché, in presenza naturalmente delle condizioni di cui all’art. 5, comma 6, essa avrà diritto ad una porzione del reddito del marito che la compensi del lavoro familiare svolto durante la vita matrimoniale e quindi riequilibri la situazione. Chi ha contribuito col lavoro casalingo e, vieppiù con la maternità[44], al soddisfacimento dei bisogni familiari ha – sempre ovviamente in applicazione di tutti i criteri legali – diritti proporzionati al reddito dell’altro coniuge che ha contribuito col lavoro professionale. Solo in tal modo l’assegno sarà adeguato.

In questa sede, anche per giustificare il titolo di questo lavoro, è interessante rimarcare che le Sezioni unite n. 32198/2021, nell’epilogo della lunga motivazione, esprimono la consapevolezza che l’assegno di divorzio periodico per sua natura e stante l’incertezza della durata dell’erogazione, non sia idoneo ad assolvere pienamente alla funzione perequativo-compensativa. Non è affermazione di poco conto,  che, a ben vedere,  rischia di travolgere l’intera costruzione faticosamente edificata sulle rovine del precedente indirizzo fondato sul tenore di vita.

Sembra a chi scrive che una consimile esplicita ammissione inviti l’interprete a squarciare il velo che avvolge le  affermazioni di principio enunciate qua e là nelle decisioni richiamate, per mostrare quale sia in concreto la funzione dell’assegno per la parte eccedente la dimensione assistenziale. L’applicazione del criterio compensativo-perequativo, più che assicurare al beneficiario dell’assegno il compenso rateizzato che si è guadagnato, costituisce una sorta di filtro volto a vagliare il curriculum dell’ex coniuge per verificare se egli, in nome del principio di eguaglianza, abbia meritato, grazie al ruolo trainante endofamiliare e ai relativi sacrifici, un quid pluris rispetto alle sue esigenze puramente assistenziali. In questo quadro non va dimenticato che il presupposto dell’assegno, anche di quello perequativo-compensativo, è la sperequazione reddituale e patrimoniale tra i coniugi: la Corte viene a dire che la sperequazione può essere colmata solo in favore dell’ex coniuge che abbia ben meritato. In tal caso, dunque, egli potrà beneficiare di una parte del reddito dell’altro coniuge che gli consentirà di fatto l’incremento del suo tenore di vita e forse anche di accumulare risparmi. Rispetto alla vecchia giurisprudenza l’elemento di differenziazione è che in passato il tenore di vita veniva garantito al coniuge debole, al ricorrere delle condizioni di legge, in maniera quasi automatica, mentre ora, sempre nel rispetto degli indici normativi, esso rappresenta il premio per quanto il percipiente ha fatto a vantaggio della famiglia e per i suoi sacrifici.

Ma alla fine quello che è palese è comunque che l’assegno consente all’ex coniuge che lo abbia meritato e lo percepisca di vivere meglio di quanto i suoi mezzi gli consentirebbero, e, quindi, in maniera più conforme a come vive l’altro ex coniuge, cioè, in definitiva, quando vi siano i mezzi, al precedente tenore di vita: come dire che per non perderlo bisogna esserselo guadagnato.


[1] Le pertinenti schede dell’Istituto di Statistica sono consultabili alle pagine http://seriestoriche.istat.it/ (per i dati pre 2014) e http://demo.istat.it/altridati/matrimoni/index.php (per i dati post 2014). Cfr., per l’andamento dei divorzi, F. Rinesi, La recente evoluzione dei divorzi: uno sguardo ai numeri, in questa Rivista, 2021, 1, 140 ss.

[2] Sul regime patrimoniale primario cfr. M. Paradiso, I rapporti personali tra coniugi. Artt. 143-148, in Comm. Schlesinger-Busnelli, II ed., Milano, 2012, 112, testo e nt. 12, ove ulteriori riferimenti bibliografici intorno all’origine della espressione; F. Ruscello, I diritti e i doveri nascenti dal matrimonio, in G. Ferrando – M. Fortino – F. Ruscello (a cura di), Tratt. Zatti, Famiglia e matrimonio, I, 1, II ed., Milano, 2011, 1058.

[3] In argomento v. P. Schlesinger, Della comunione legale, in Comm. Oppo-Carraro-Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, 364 s. Su questi aspetti v. anche le considerazioni di S. Patti, Regime patrimoniale della famiglia e autonomia privato, in F. Anelli – M. Sesta (a cura di), Tratt. Zatti, III, Regime patrimoniale della famiglia, II ed., Milano, 2011, 7 s.

Sulla separazione dei beni, cfr. M. Sesta – B. Valignani, Il regime della separazione dei beni, ivi, 558 s. Prima della riforma v. già P. Rescigno, I rapporti patrimoniali tra coniugi, in AA.VV., La riforma del diritto di famiglia. Atti del Convegno di Venezia svolto presso la Fondazione Cini nei giorni 30 aprile – 1° maggio 1967, Padova, 1967, 63.

[4] Dati sempre attinti dalle rilevazioni Istat, consultabili alla pagina http://dati.istat.it/Index.aspx?QueryId=18573#.

[5] Diversamente i sistemi di common law considerano attentamente la delicatezza della scelta e vi destinano apposite prescrizioni volte a tutelare la parte debole e l’effettività del suo consenso: cfr. C. Rimini, Il nuovo divorzio, in Tratt. Cicu-Messineo, La crisi della famiglia, II, Milano, 2015, 247 s., nt. 39, il quale si sofferma specialmente sul profilo relativo alla full disclosure dei redditi e dei patrimoni, che condiziona l’efficacia dei prenuptial agreements; per gli Stati Uniti v. E. Al Mureden, I prenuptial agreements negli Stati Uniti e nella prospettiva del diritto italiano, in questa Rivista, 2005, 552. In argomento cfr. M. Sesta – B. Valignani, Il regime della separazione dei beni,cit., 566.

[6] Al riguardo cfr. A. Cordiano, Il principio di autoresponsabiità nei rapporti familiari, Torino, 2018, passim.

[7] Cfr. C.M. Bianca, Le Sezioni unite sull’assegno divorzile: una nuova luce sulla solidarietà postconiugale, in questa Rivista, 2018, 956.

[8] G. Gennari, Lo scioglimento della comunione legale, aggiornamento a cura di C. Prussiani, in Tratt. Zatti, III, Regime patrimoniale della famiglia, a cura di F. Anelli – M. Sesta, II ed., Milano, 2011, 461 ss.

[9] Nell’ordinamento britannico il raccordo si instaura sotto l’egida dell’equitable distribution system, abbinato alla clean break theory: a mente di tale istituto, nel caso in cui durante il rapporto matrimoniale sia mancata una allocazione comune dei beni, il giudice può dividere al momento della crisi il patrimonio dei coniugi al fine di realizzare un’equa spartizione. Sul punto v. E. Al Mureden, Berlusconi v. Lario: autosufficienza e tenore di vita coniugale in un big money case italiano, in questa Rivista, 2018, 347.

[10] Le più risalenti riflessioni della dottrina relative alla disposizione in oggetto sono ricostruite da C. Rimini, Il nuovo divorzio, cit., 111, nt. 13.

[11] Cass. Civ., SS.UU., 9 luglio 1974, n. 2008, in Dir. fam., 1974, 635, con nota di F. Dall’Ongaro, Sulla controversa qualificazione giuridica dell’assegno di divorzio; v. già Cass. Civ., SS.UU., 26 aprile 1974, n. 1194, in Foro it., 1974, I, 1335.

[12] Vedile richiamate da E. Quadri, L’introduzione del divorzio: il dibattito, la legge e la sua conferma, gli interventi successivi, in questa Rivista, 2021, 11, testo e nt. 30.

[13] Cfr. E. Quadri, L’introduzione del divorzio, cit., 11 s.; C. Rimini, Il nuovo divorzio, cit., 19 s.

[14] Si v. N. Lipari, Relazione della 2a commissione permanente (giustizia) concernente “Modifiche alla legge 1° dicembre 1970, n. 898, concernente disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio” e “Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio”, Tipografia del Senato, 1987, 11. Il testo è consultabile integralmente all’URL https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/272704.pdf. Cfr. C. Rimini, Il nuovo divorzio, cit., 111, nt. 14.

[15] L’accertamento del diritto di un coniuge alla somministrazione di un assegno periodico a carico dell’altro va cioè compiuto mediante una duplice indagine, attinente all’an e al quantum: Cass. Civ., SS.UU., 29 novembre 1990, n. 11490, in Foro it., 1991, I, 1, 67 ss., con note di E. Quadri, Assegno di divorzio: la mediazione delle sezioni unite e di V. Carbone, Urteildämmerung: una decisione crepuscolare (sull’assegno di divorzio). Sul tema, ampiamente, si vedano le considerazioni critiche di C. Rimini, op. cit., 105 ss.

[16] Cass. Civ. n. 1990/11490, cit.

[17] Corte cost. 11 febbraio 2015, n. 11, in questa Rivista, 2015, 537 ss., con nota di E. Al Mureden, L’assegno divorzile, parametro del tenore di vita coniugale e principio di autoresponsabilità.

[18] Cass. Civ. 10 maggio 2017, n. 11504, in questa Rivista, 2017, 642 ss., con note di E. Al Mureden, L’assegno divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale e di F. Danovi, Assegno di divorzio e irrilevanza del tenore di vita matrimoniale: il valore del precedente per i giudizi futuri e l’impatto sui divorzi già definiti; in Giur. it., 2017, 8-9, 1799 ss., con nota di C. Rimini, Assegno di mantenimento e assegno divorzile: l’agonia del fenomeno assistenziale; in Nuova giur. civ. comm., 2017, IX, 1274 ss., con nota di Id., Verso una nuova stagione per l’assegno divorzile dopo il crepuscolo del fenomeno assistenziale. Si v. anche M. Fortino, Il divorzio e l’“autoresponsabilità” dei coniugi e il nuovo volto della donna e della famiglia, ivi, 1254 ss.; E. Quadri, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?, in Corr. giur., 2017, 885 ss.; M. Sesta, La solidarietà post-coniugale tra funzione assistenziale ed esigenze compensatorie, in questa Rivista, 2018, 516, ove si esprimeva l’auspicio che dal dibattito seguito alla sentenza della Prima sezione potesse “nascere – con il contributo di tutti, giudici, studiosi, avvocati e, soprattutto, il legislatore – un più ragionevole ed equo assetto dei rapporti patrimoniali seguenti alla crisi del matrimonio, in linea con i precetti costituzionali e con il nuovo stato giuridico del vincolo coniugale”.

[19] M. Sesta, L’assegno di divorzio nella prospettiva italiana e in quella tedesca, in questa Rivista, 2019, 5 s. Più precisamente la disposizione citata stabilisce che se un coniuge, dopo il divorzio, non può provvedere da solo al proprio mantenimento, ha, nei confronti dell’altro, una pretesa di carattere alimentare solo in presenza di circostanze determinate dalla legge (parr. 1570-1577). Dunque, l’assegno di mantenimento ha carattere eccezionale e comunque non è dovuto quando il richiedente “può mantenersi da solo con i suoi proventi e il suo patrimonio” (par. 1577). In questo contesto autoresponsabilità sembra dunque significare che il coniuge in linea di principio deve darsi carico del proprio mantenimento dopo il divorzio attraverso il proprio lavoro o il suo patrimonio e che la solidarietà postconiugale opera solo eccezionalmente.

[20] Cass. Civ., SS.UU., 11 luglio 2018, n. 18287, in Corr. giur., 2018, 1186 ss., con nota di S. Patti, Assegno di divorzio: il “passo indietro” delle Sezioni Unite; in Giur. it., 2018, 1843, con nota di C. Rimini, Il nuovo assegno di divorzio: la funzione compensativa e perequativa; in Foro it., 2018, I, 2671 ss., con nota di M. Bianca, Le sezioni unite e i corsi e ricorsi giuridici in tema di assegno divorzile: una storia compiuta? Si v., in argomento, E. Quadri, “C’è qualcosa di nuovo oggi” nell’assegno di divorzio,anzi d’antico”, in Nuova giur. civ. comm., 2018, XI, 1714 ss.; Id., Il superamento della distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell’assegno di divorzio, ivi, 971 ss.; M. Sesta, Attribuzione e determinazione dell’assegno divorzile: la rilevanza delle scelte di indirizzo della vita familiare, in questa Rivista, 2018, 983 ss.; E. Al Mureden, L’assegno divorzile e l’assegno di mantenimento dopo la decisione delle Sezioni Unite, ivi, 1019 ss. Sul versante processuale, cfr. F. Danovi, Oneri probatori e strumenti di indagine: doveri delle parti e poteri del giudice, ivi, 1007 ss.; N. Tommaseo, La decisione delle Sezioni Unite e la revisione ex art. 9 l. div. dell’assegno postmatrimoniale, ivi, 1050 ss. V. altresì L. Balestra, L’assegno divorzile nella nuova prospettiva delle Sezioni unite, in questa Rivista, 2019, 15 ss.

[21] Al riguardo cfr. la lucida ricostruzione offerta dal co-presidente del collegio S. Schirò, Attribuzione e determinazione dell’assegno di divorzio: un lungo percorso giurisprudenziale, in questa Rivista, 2019, 926.

[22] Si allude particolarmente al passaggio relativo ai sacrifici delle chance professionali, di cui infra nel testo.

[23] M. Sesta, Diritto di famiglia e Costituzione oggi. Dialoghi con Mario Segni, in Stato, 2019, XIII, 320. Il profilo è valorizzato da E. Quadri, Gli effetti economici delle crisi coniugali, in Jus civile, 2021, spec., 1352 e 1363.

[24] Sul tema per tutti M. Paradiso, I rapporti personali tra coniugi. Artt. 143-148, cit., 10; Id., La comunità familiare, Milano, 1984, 168 s.; M. Sesta, sub art. 29 Cost., in Codice della famiglia, a cura di Id., Milano, 2015, III ed., 94.

[25] M. Sesta, Attribuzione dell’assegno divorzile, cit., 984.

[26] A. Falzea, Il dovere di contribuzione nel regime patrimoniale della famiglia, in Riv. dir. civ., 1977, 614.

[27] M. Paradiso, I rapporti personali, cit., 170 ss.; Id., La comunità familiare, cit., 172 ss.

[28] E. Al Mureden, Funzione perequativa dell’assegno divorzile e famiglia destrutturata, Milano, 2007, passim; Id., Le famiglie dopo il divorzio tra libertà, solidarietà e continuità dei legami affettivi, cit., 24 ss.

[29] Al riguardo si vedano le acute considerazioni critiche di E. Quadri, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?, cit., 885 ss.

[30] M. Sesta, La solidarietà post-coniugale, cit., 513.

[31] M. Paradiso, Navigando nell’arcipelago familiare. Itaca non c’è, in Riv. dir. civ., 2016, 1308.

[32] E. Quadri, Gli effetti economici delle crisi coniugali, cit., 1351; M. Sesta, Diritto di famiglia e Costituzione oggi, cit., 520.

[33] Cass. Civ., SS.UU., n. 18287/2018, cit., par. 12.

[34] Cfr. in proposito A. Cordiano, Il principio di autoresponsabilità nei rapporti familiari, cit., 94, la quale osserva che il principio di autoresponsabilità sia talvolta declinato quale autosufficienza nell’ottica di contenere ove possibile le forme di mantenimento a casi di eccezionalità. L’A. rileva condivisibilmente come sia “altrettanto palese, tuttavia, che il fondamento solidaristico sotteso agli istituti del contesto della crisi familiare non possa essere totalmente stravolto a favore di una aprioristica spinta di autosufficienza economica”. Al riguardo si v. ora G. Castellani, La ricerca di un equilibrio tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale, in questa Rivista, 2021, 906.

[35] M. Sesta, Attribuzione e determinazione, cit., 989.

[36] Tra le molte, App. Milano 6 aprile 2020, n. 878, in DeJure; App. Palermo 26 novembre 2018, ivi; Trib. Roma, Sez. I, 22 dicembre 2020, n. 18456, ivi; Trib. Torino 14 dicembre 2020, n. 4448, ivi; Trib. Milano, Sez. IX, 12 marzo 2019, n. 2397, ivi; App. Napoli 10 gennaio 2019, n. 52, ivi.

[37] Si vedano ora in questo senso, Cass. Civ. 20 ottobre 2021, n. 29195, in https://onelegale.wolterskluwer.it/, e Trib. Modena 15 novembre 2021, inedita.

[38] Ma v. A. Mondini, L’assegno di divorzio dopo la sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018: indicazioni per il giudice di merito, in questa Rivista, 2018, 427 ss.

[39] E. Quadri, Le conseguenze economiche delle crisi coniugali, cit., 1366.

[40] Si v. ora Cass. Civ. SS.UU. n. 32198/2021, cit., punti 30.3 e 30.4 nonché E. Quadri, Gli effetti economici, cit., 1366.

[41] Gli ordinamenti che all’opposto impongono un regime patrimoniale tendenzialmente perequativo in costanza di matrimonio propendono per la definizione il più possibile netta dei rapporti patrimoniali, con lo scioglimento della coppia. Cfr. C. Rimini, Il nuovo divorzio, cit., 110. Così nel Regno Unito, ove è stata concepita la nota formula del clean break, la permanenza di vincoli economici tra gli ex coniugi è contemplata alla stregua di una soluzione del tutto residuale: cfr. § 25A(2) Matrimonial Causes Act. La legge in particolare obbliga il giudicante a considerare in prima istanza l’opportunità del clean break e quindi di una divisione netta del patrimonio mediante financial orders (con la significativa eccezione della presenza di figli). I periodical payment orders eventualmente disposti, altresì, possono avere durata limitata in corrispondenza della raggiunta autonomia patrimoniale dell’ex coniuge beneficiario. In argomento, E. Al Mureden, Conseguenze patrimoniali del divorzio e parità tra coniugi nelle leading decisions inglesi: verso una nuova valenza dell’istituto matrimoniale?, in Riv. trim. dir. proc, civ., 2009, 211 ss.; Id., L’assegno divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale, cit., 646. Ancora, con riguardo all’ordinamento tedesco, la materia è incardinata sul principio fondamentale della auto-responsabilità (§ 1569 BGB), alla cui stregua «dopo il divorzio ciascuno dei coniugi deve farsi carico del proprio mantenimento». Coerentemente, l’assegno divorzile ricorre soltanto in ipotesi connotate da esigenze di tipo squisitamente “alimentare”: assolve in altri termini una funzione assistenziale ed è peraltro suscettibile di limitazione temporale. Cfr. M. Sesta, L’assegno di divorzio nella prospettiva italiana e in quella tedesca, cit., 5 e s..

[42] Cass. Civ., SS.UU., 5 novembre 2021, n. 32198, punti 24, 27, cpv., s., in https://onelegale.wolterskluwer.it/. Si v. C. Rimini, Gli effetti della relazione affettiva stabile sulla titolarità dell’assegno divorzile: nuove prospettive sulla base della funzione compensativa dell’assegno, in questa Rivista, 2021, 274, in commento all’ordinanza di Cass. Civ. 17 dicembre 2020, n. 28995, che ha suscitato l’intervento delle ricordate Sezioni Unite. In margine alla stessa ordinanza v. altresì E. Quadri, Diritto all’assegno di divorzio e convivenza: alla ricerca di una soluzione coerente, in Nuova giur. civ. comm., 2021, 4, 883.

[43] Cfr. Cass. Civ. n. 29195/2021, cit., in https://onelegale.wolterskluwer.it/..

[44] Si v. al riguardo le acute riflessioni di M.R. Marella, Editoriale, in Riv. crit, dir. priv., 2021, 3, la quale, nell’ambito di una più generale riflessione critica sul “lavoro riproduttivo”, sottolinea la rilevanza giuridica che esso assume “sotto l’angolo visuale dell’uguaglianza e del principio di non-disciriminazione per il fatto di essere lavoro non pagato e distribuito secondo il genere”.


Competenze

Postato il

10 Marzo 2022

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy