Michele Sesta, L’atto di nascita del cittadino straniero nato in Italia non può recare il riconoscimento di due madri, in Famiglia e diritto, 2020, IV, pp. 325-329

Genitorialità 

Corte Costituzionale 15 novembre 2019, n. 237 – Pres. Lattanzi – Rel. Morelli 

È inammissibile la questione di legittimità costituzionale della “norma che si desume” dagli artt. 250 e 449 c.c.; artt. 29, comma 2, e 44, comma 1, d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’art. 2, comma 12, L. 15 maggio 1997, n. 127); artt. 5 e 8 L. 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), per contrasto con gli artt. 2, 3, 24, 30 e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 3 e 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con L. 27 maggio 1991, n. 176. Il Tribunale remittente, infatti, non chiarisce se la “norma desunta” – della quale auspica la caducazione, “nella parte in cui non consente di formare in Italia un atto di nascita in cui vengano riconosciute come genitori di un cittadino di nazionalità straniera due persone dello stesso sesso, quando la filiazione sia stabilita sulla base della legge applicabile in base all’art. 33 legge 218/95” – sia: (a) la stessa norma interna sulla eterogenitorialità, di cui egli presupponga, e chieda a questa Corte di rimuovere, la necessaria applicabilità in sede di formazione (ma non anche, peraltro, di trascrizione) dell’atto di nascita di un minore cittadino straniero; ovvero (b) una norma sulla “azione amministrativa”, regolatrice dell’attività dell’ufficiale di stato civile, che gli impedirebbe di formare l’atto di nascita di un minore straniero in cui si riconosca al medesimo uno status previsto dalla sua legge nazionale, ma non da quella italiana. 

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI 

Corte cost. 18 dicembre 2017, n. 272, in Foro it., 2018, 21 ss., con nota di G. Casaburi, Le azioni di stato alla prova della Consulta. La verità non va (quasi mai) sopravvalutata; Corte cost. 23 ottobre 2019, n. 221, in www.pluris.it. 

Cass. 30 settembre 2016, n. 19599, in Corr. giur., 2017, 181 ss., con nota di G. Ferrando, Ordine pubblico e interesse del minore nella circolazione degli “status filiationis”. 

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Ritenuto in fatto 

1. Nel corso di un giudizio civile – nel quale una cittadina statunitense e una cittadina italiana, “in proprio e nella dichiarata qualità di genitori del figlio minore” (nato a Pontedera), lamentavano che “l’ufficiale dello stato civile del Comune di Pisa si era rifiutato di ricevere la dichiarazione di nascita espressa congiuntamente dalla ricorrente cittadina statunitense quale madre gestazionale, e dalla ricorrente cittadina italiana quale madre intenzionale, in forza del consenso alla fecondazione eterologa (avvenuta in Danimarca)” – l’adito Tribunale ordinario di Pisa, sezione civile, in composizione collegiale, ritenutane la rilevanza al fine del decidere, ha sollevato, con l’ordinanza in epigrafe, “questione di legittimità costituzionale della norma che si desume” dagli artt. 449 del codice civile; 29, comma 2, e 44, comma 1 (omesso in dispositivo ma indicato in motivazione), del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127); 250 cod. civ.; 5 e 8 della L. 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), “nella parte in cui non consente di formare in Italia un atto di nascita in cui vengano riconosciute come genitori di un cittadino di nazionalità straniera due persone dello stesso sesso, quando la filiazione sia stabilita sulla base della legge applicabile in base all’art. 33 L. n. 218 del 1995”. 

Il giudice a quo premette in fatto che, nella specie, il minore è, come la propria madre biologica, cittadino del Wisconsin, Stato per il quale “la madre intenzionale, che … è sposata con la madre gestazionale, e ha dato per iscritto il proprio consenso alla procreazione medicalmente assistita, è genitore del minore”. 

Ritiene poi, però, che la norma, che si desume dal combi- nato disposto delle disposizioni denunciate, impedirebbe di formare in Italia un atto di nascita che riconosca al minore la doppia genitorialità same sex, cui egli avrebbe diritto come cittadino statunitense, sulla base della legge nazionale che dovrebbe viceversa trovare applicazione anche in Italia, ex art. 33 della L. 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato). 

Da qui il sospettato suo contrasto:
“1) con gli artt. 2 e 3, Cost., perché in modo irragionevole limita il diritto di persone che, in base alla legge straniera applicabile, sono legate da un rapporto di genitorialità- filiazione di vedere riconosciuta pienamente in Italia la loro formazione sociale;
2) con l’art. 3, Cost., per irragionevole discriminazione con la situazione in cui il cittadino di nazionalità straniera abbia due genitori intenzionali di sesso diverso, nel qual caso la formazione dell’atto di nascita sarebbe possibile, con ciò ponendo in essere una discriminazione basata sul sesso;
3) con gli artt. 3 e 24, Cost., perché irragionevolmente non consente al figlio di ottenere la prova precostituita della filiazione che sussiste in base alla legge straniera applicabile, in assenza di motivi di ordine pubblico inter- nazionale che ostino alla sua applicazione in Italia;
4) con gli artt. 3 e 30, Cost., dal quale ultimo si desume il diritto del figlio di ricevere mantenimento e istruzione dai genitori (che tali siano in base alla legge applicabile al rapporto di filiazione), e quindi, prima di tutto, anche secondo un criterio di ragionevolezza, di vedere riconosciuta formalmente la filiazione; 

5) con l’art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con gli artt. 3 … e 7 … della Convenzione di New York del 20 novembre 1989, ratificata con L. n. 176 del 1991, in quanto non consente di garantire l’interesse superiore del fanciullo, imponendogli di non vedere formalmente riconosciuta una genitorialità che sussiste in base alla legge straniera applicabile, e ponendo ostacoli alla realizzazione della sua aspirazione a vivere con due genitori; 

6) con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 della Convenzione di New York del 20 novembre 1989, ratificata con L. n. 176 del 1991, in quanto non consente di vedere riconosciuta al fanciullo immediatamente alla nascita la sua filiazione che sussiste in base alla legge straniera applicabile”. 

2. Nel giudizio innanzi a questa Corte si sono costituite le due ricorrenti nel procedimento principale.
La difesa delle quali ha preliminarmente eccepito la inammissibilità della sollevata questione. 

Ciò, in primo luogo, perché, nel porla, il rimettente “muoverebbe da un’errata interpretazione del contesto giuridico italiano e dei principi in materia di filiazione derivata dall’applicazione di tecniche di fecondazione assistita”. Principi, che – diversamente da quelli che regolano la filiazione nel peculiare e diverso contesto del matrimonio … condurrebbero necessariamente a “costi- tuire uno stato di filiazione fra l’adulto che con le proprie decisioni ha determinato la nascita di un bambino e quest’ultimo”, il quale, “in forza del consenso alle tecniche medico-riproduttive già prestato anche dalla madre intenzionale”, diverrebbe “ipso iure alla nascita … figlio di entrambe”. 

In secondo luogo, e in subordine, “per errata interpreta- zione delle disposizioni di diritto internazionale privato” in ordine a “ciò che costituisce una norma di applicazione necessaria nel contesto dello stato civile”. 

“Norme di applicazione necessaria”, concernenti i poteri dell’ufficiale di stato civile, sarebbero, infatti, solo quelle di carattere formale e procedurale, e cioè quelle relative alla “tipicità degli atti” che detto organo dello Stato può formare, ma non anche le norme che disciplinano il contenuto (non del pari tipico) degli atti medesimi, le quali non debbono “necessariamente rispecchiare il diritto sostanziale italiano”. 

La stessa difesa ha poi anche depositato memoria integrativa, nella quale sottolinea, tra l’altro, come la Corte di cassazione – in particolare con la sentenza della sezione prima del 15 giugno 2017, n. 14878, richiamata, in senso adesivo, dalle Sezioni unite nella più recente sentenza 8 maggio 2019, n. 12193 – abbia escluso la contrarietà all’ordine pubblico internazionale della trascrizione in Italia di atto di nascita straniero che menzioni due madri. 

3. Si è costituito anche il curatore speciale del minore, nominato nel giudizio a quo, per il quale la questione sarebbe irrilevante – “potendo il Tribunale emettere il provvedimento richiesto, con una interpretazione adegua- trice e costituzionalmente orientata dell’ordinamento e previa l’eventuale disapplicazione delle norme in apparente contrasto” – ovvero sarebbe, in subordine, fondata. Ciò che – come ulteriormente argomentato dallo stesso curatore con successiva memoria -, in caso di accesso al merito, dovrebbe comunque condurre a “dichiarare incostituzionali le disposizioni riportate nell’ordinanza di rimessione”. 

4. Non si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri.
5. Hanno, infine, spiegato intervento in questo giudizio incidentale il Centro Studi “R.L.”, che ha anche depositato memoria integrativa, la libera associazione di volontariato “Vita è” e l’Avvocatura per i diritti LGBTI: per sostenere, rispettivamente, il primo, la manifesta infondatezza, la seconda, la inammissibilità o comunque la non fondatezza della questione; per rassegnare, la terza associazione, opposte conclusioni, nel senso della sua fondatezza. 

Considerato in diritto 

1. Chiamato a decidere sulla legittimità, o meno, del rifiuto, opposto dall’Ufficiale di stato civile di Pisa, alla richiesta di riconoscimento congiunto di un minore nato in Italia (a Pontedera) – richiesta presentata da una coppia di donne (coniugate per effetto di matrimonio contratto negli Stati Uniti), l’una cittadina americana (del Wisconsin), quale madre gestazionale, e l’altra, cittadina italiana, quale “madre intenzionale”, in forza del consenso prestato alla fecondazione eterologa (della prima) avviata in Danimarca – l’adito Tribunale ordina- rio di Pisa, sezione civile, in composizione collegiale, ha sollevato, con l’ordinanza di cui si è in narrativa detto, “questione di legittimità della norma che si desume” dall’art. 449 del codice civile, che prescrive che i registri dello stato civile siano tenuti “in conformità delle norme contenute nella legge sull’ordinamento dello stato civile”; dall’art. 29, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), concernente le indicazioni contenute nell’atto di nascita, fra cui le generalità dei genitori; dall’art. 44, comma 1 (omesso in dispositivo ma indicato in motivazione), dello stesso d. P.R., in tema di riconoscimento del nascituro da parte del padre; dall’art. 250 cod. civ., che, ai fini del riconosci- mento del minore nato fuori dal matrimonio, fa riferimento alla “madre” e al “padre”; e dagli artt. 5 e 8 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), per i quali l’ac- cesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (d’ora in poi: PMA) è consentito solo a coppia maggiorenne “di sesso diverso”. 

Norma, quella così “desunta” dal giudice a quo, che dà, appunto, luogo al sospetto di illegittimità costituzionale, “nella parte in cui non consente di formare in Italia un atto di nascita in cui vengano riconosciute come genitori di un cittadino di nazionalità straniera due persone dello stesso sesso, quando la filiazione sia stabilita sulla base della legge applicabile in base all’art. 33 legge 218/95”. 

E ciò per contrasto, secondo il rimettente: con gli artt. 2 e 3 della Costituzione, sotto il profilo dell’illegittima restrizione del diritto – di persone che, in base alla legge straniera applicabile, sono legate da un rapporto di genitorialità/ filiazione – a vedere riconosciuta in Italia la loro formazione sociale; con l’art. 3 Cost., per l’irragionevole discriminazione rispetto alla analoga situazione del cittadino straniero, figlio però di genitori di sesso diverso, che tale status potrebbe vedersi, invece, riconosciuto; con gli artt. 3 e 24 Cost., poiché la norma non consente al figlio di ottenere la prova precostituita della filiazione, che sussiste in base alla legge straniera applicabile, in assenza di motivi ostativi di ordine pubblico internazionale; con gli artt. 3 e 30 Cost., sotto il profilo della illegittima restrizione del diritto del figlio di ricevere mantenimento e istruzione da entrambi i genitori, che siano tali secondo la sua legge nazionale; con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 3 e 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, sotto il profilo del pregiudizio subito dall’interesse del fanciullo a veder riconosciuta anche in Italia la doppia genitorialità, sussistente secondo la sua legge nazionale; ancora con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 della medesima Convenzione, sotto il profilo della lesione del diritto a vedere immediatamente riconosciuto in Italia lo status di figlio di entrambe le madri, legittimamente acquisito sulla base della legge nazionale. 

1.1. Nel motivare la questione così sollevata il Tribunale ordinario di Pisa muove da una ferma, e sotto più profili argomentata, premessa: quella per cui nel nostro ordina- mento è “allo stato escluso che genitori di un figlio possano essere due persone dello stesso sesso”. 

Il che, a suo avviso, non impedirebbe che un atto di nascita formato all’estero, che riconosca la filiazione con genitori dello stesso sesso, possa essere trascritto in Italia, ove se ne escluda la contrarietà con l’ordine pubblico. 

Diverso – egli aggiunge – è però il caso cui l’atto di nascita debba essere “formato in Italia”.
In questo caso, l’ufficiale di stato civile non potrebbe “applicare […] disposizioni straniere”, ostandovi, appunto, la norma che lo stesso Tribunale “desume” dal combinato contesto delle plurime disposizioni denunciate e che pre- suppone essere “di applicazione necessaria”, quale norma interna che debba essere applicata nonostante il richiamo alla legge straniera, ai sensi dell’art. 17 della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato). 

Ciò che poi induce il rimettente a sospettare il contrasto della norma così desunta con i parametri costituzionali evocati, con riguardo ad una fattispecie – come quella sub iudice – in cui la madre biologica ed il minore sono cittadini di uno Stato (lo Stato federato degli Stati Uniti d’America del Wisconsin) per il quale “la madre intenzionale, che […] è sposata con la madre gestazionale, e ha dato per iscritto il proprio consenso alla procreazione medicalmente assistita, è [anch’essa] genitore del minore”. Per cui in base alla propria legge nazionale – che dovrebbe trovare applicazione anche in Italia, ex art. 33 della predetta legge n. 218 del 1995 – quel minore avrebbe diritto alla genito- rialità delle due donne che hanno consensualmente avviato e portato a compimento il progetto di feconda- zione eterologa che ha dato luogo alla sua nascita. 

2. Preliminarmente va confermata l’allegata ordinanza, pronunciata in udienza, con la quale è stata esclusa l’ammissibilità degli interventi del Centro Studi “Rosario Livatino”, della libera associazione di volontariato “Vita è” e dell’Avvocatura per i diritti LGBTI. 

3. In via ancora preliminare vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità – ostative, in tesi, all’esame del merito della questione – rispettivamente formulate dalle due ricorrenti nel procedimento principale e dall’ivi nominato curatore speciale del minore. 

3.1. Precede, sul piano logico, l’eccezione con cui la difesa delle suddette ricorrenti sostiene l’erroneità della interpretazione da cui muove il rimettente, relativamente al “contesto giuridico italiano e [ai] principi in materia di filiazione derivata dall’applicazione di tecniche di fecondazione assistita”. 

Non pertinentemente – sostiene detta difesa – il Tribunale pisano avrebbe richiamato le disposizioni codicistiche che disciplinano la filiazione nell’ambito del matrimonio, poiché sarebbe solo in quello specifico contesto che i figli non possono che avere un “padre” e una “madre”, mentre non sarebbe possibile “[senza] compiere una peti- zione di principio dedurre […] che ogni figlio [comunque nato] debba avere un padre e una madre […]”. Atteso che “[i]l matrimonio senz’altro mantiene delle peculiarità quanto alle regole di accesso alla genitorialità […]. Tutta- via non ne mantiene più il monopolio”. 

Con riguardo alle nuove tecniche procreative l’ordina- mento italiano imporrebbe, infatti, “un chiaro principio di responsabilità genitoriale, che dipende dalla sostanza (la responsabilità di determinare con la propria volontà la generazione di una vita, senza possibilità di resipiscenza) e non dalla forma”. 

In applicazione di un tale principio il rimettente avrebbe dovuto direttamente riconoscere che il diritto interno non impedisce la dichiarazione di nascita espressa congiunta- mente dalle due donne, che a torto, dunque, l’ufficiale di stato civile avrebbe rifiutato di accogliere. Dal che l’irri- levanza della questione sollevata. 

3.1.1. L’eccezione non è fondata.
È pur vero che la genitorialità del nato a seguito del ricorso a tecniche di PMA è legata anche al “consenso” prestato, e alla “responsabilità” conseguentemente assunta, da entrambi i soggetti che hanno deciso di accedere ad una tale tecnica procreativa.
Tanto, infatti, si desume sia dall’art. 8 della legge n. 40 del 2004 – per cui, appunto, i nati a seguito di un percorso di fecondazione medicalmente assistita hanno lo stato di “figli nati nel matrimonio” o di “figli riconosciuti” della coppia che questo percorso ha avviato – sia dal successivo art. 9 della stessa legge che, con riguardo alla fecondazione di tipo eterologo, coerentemente stabilisce che il “coniuge o il convivente” (della madre naturale), pur in assenza di un suo apporto biologico, non possa, comunque, poi esercitare l’azione di disconoscimento della paternità né l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità. Ma tutto ciò sempreché quelle coinvolte nel progetto di genitorialità così condiviso siano coppie “di sesso diverso”. Per quanto espressamente disposto dall’art. 5 della pre- detta legge n. 40 del 2004, le coppie dello stesso sesso non possono accedere alle tecniche di PMA. 

Con la recente sentenza n. 221 del 2019, questa Corte – nel respingere le censure di illegittimità costituzionale rivolte al predetto art. 5 e all’art. 12, commi 2, 9 e 10, nonché gli artt. 1, commi 1 e 2, e 4 della legge n. 40 del 2004, per asserito contrasto con i parametri di cui agli artt. 2, 3, 11, 31, secondo comma, 32, primo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e con altre disposizioni sovranazionali – ha, tra l’altro, affermato che “[l]’esclusione dalla PMA delle coppie formate da due donne non è […] fonte di alcuna distonia e neppure di una discriminazione basata sull’orientamento sessuale”. Ha, inoltre, ricordato come in questo senso si sia espressa la Corte europea dei diritti dell’uomo, per la quale una legge nazionale che riservi il ricorso all’inseminazione artificiale a coppie eterosessuali sterili, attribuendole una finalità terapeutica, non può essere considerata fonte di una ingiustificata disparità di trattamento nei con- fronti delle coppie omosessuali, rilevante agli effetti degli artt. 8 e 14 CEDU: ciò proprio perché la situazione delle seconde non è paragonabile a quella delle prime (Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 15 marzo 2012, Gas e Dubois contro Francia). 

Ha, conclusivamente, quindi, considerato come la scelta espressa dal legislatore del 2004 si riveli “non eccedente il margine di discrezionalità del quale il legislatore fruisce in subiecta materia, pur rimanendo quest’ultima aperta a solu- zioni di segno diverso, in parallelo all’evolversi dell’apprezzamento sociale della fenomenologia considerata”. Ad opposte conclusioni neppure può poi condurre la successiva legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), che – pur riconoscendo la dignità sociale e giuridica delle coppie formate da persone dello stesso sesso – non consente, comunque, la filiazione, sia adottiva che per fecondazione assistita, in loro favore. Dal rinvio che il comma 20 dell’art. 1 di detta legge opera alle disposizioni sul matrimonio (cosiddetta clausola di salvaguardia) restano, infatti, escluse, perché non richiamate, quelle, appunto, che regolano la paternità, la mater- nità e l’adozione legittimante. 

Resiste, dunque, a censura l’affermazione, assunta in pre- messa dal Tribunale pisano, che “allo stato”, nel nostro ordinamento, è “escluso che genitori di un figlio possano essere due persone dello stesso sesso”.
3.2. Sotto altro subordinato profilo, la stessa difesa delle ricorrenti sostiene che il Tribunale ordinario di Pisa – nel ritenere che all’ufficiale di stato civile, che forma un atto di nascita, sia preclusa la possibilità di applicare leggi di altro Stato – sia incorso in una “errata interpretazione della interazione delle norme internazional privatistiche con quelle sostanziali che reggono l’ordinamento dello stato civile”. 

“Il vulnus dell’interpretazione proposta dal giudice rimettente risiede[rebbe] nella ricostruzione non condivisibile di ciò che costituisce una norma di applicazione necessaria”. Tale infatti sarebbe quella che definisce la tipologia degli atti che l’ufficiale di stato civile può compiere, e la procedura correlativa, mentre, quanto al contenuto del- l’atto, questo dipenderebbe da norme sostanziali, anche di provenienza straniera, quando ne ricorrano i presupposti secondo le norme di diritto internazionale privato. 3.2.1. Questa seconda eccezione – sostanzialmente replicata anche dal curatore speciale del minore – resta assorbita, poiché, con riguardo al rapporto tra norma interna e norma di diritto internazionale privato, sussistono motivi di inammissibilità che attengono alla stessa individuazione dell’oggetto della questione, prima ancora che ad una erroneità delle sue premesse interpretative. 

Il collegio rimettente, pur, infatti, ritiene che “alla luce del diritto vivente […], si deve escludere che l’applicazione della legge del Wisconsin sia contraria all’ordine pubblico internazionale”. 

Afferma anche che “il giudizio sulla contrarietà all’ordine pubblico della legge straniera non è diverso a seconda che si tratti di recepire un atto straniero, o di fare diretta applicazione della legge straniera”. 

Ma dalle plurime disposizioni (di fonte anche meramente regolamentare), che elenca in dispositivo, desume poi – come detto – una “norma di applicazione necessaria” che impedirebbe che, nell’atto di nascita di un minore in Italia, possa farsi applicazione di una legge straniera, ancorché legge nazionale del minore stesso. 

“Norme di applicazione necessaria”, per testuale definizione dell’art. 17 della legge n. 218 del 1995, sono appunto le “norme italiane che, in considerazione del loro oggetto e del loro scopo, debbono essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera”. 

Il Tribunale ordinario di Pisa non chiarisce, però, se la “norma desunta” – della quale auspica la caducazione, “nella parte in cui non consente di formare in Italia un atto di nascita in cui vengano riconosciute come genitori di un cittadino di nazionalità straniera due persone dello stesso sesso, quando la filiazione sia stabilita sulla base della legge applicabile in base all’art. 33 legge 218/95” – sia: (a) la stessa norma interna sulla eterogenitorialità, di cui egli presupponga, e chieda a questa Corte di rimuovere, la necessaria applicabilità in sede di formazione (ma non anche, peraltro, di trascrizione) dell’atto di nascita di un minore cittadino straniero; ovvero (b) una norma sulla “azione amministrativa”, regolatrice dell’attività dell’ufficiale di stato civile, che gli impedirebbe di formare l’atto di nascita di un minore straniero in cui si riconosca al medesimo uno status previsto dalla sua legge nazionale, ma non da quella italiana.
A rendere non superabile tale irrisolta alternatività dell’oggetto della questione sta poi il fatto che il rimettente si limita a denunciare il solo frammento – ritenuto in contrasto con i parametri evocati – di una norma virtuale che, però, non indica nella sua interezza e che potrebbe, nella sua parte residua, essere appunto egualmente ricondotta sia all’una che all’altra delle due ipotesi normative sopra considerate. 

Mentre, per di più, le disposizioni, maggiormente attinenti al tema dell’incidente di costituzionalità, con le quali il legislatore ha individuato le norme di applicazione neces- saria nella specifica materia della filiazione (artt. 33, comma 4, e 36-bis della legge n. 218 del 1995), non sono prese in esame dal giudice a quo. 

Da qui appunto l’inammissibilità della questione. 

P.Q.M. 

La Corte Costituzionale
Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale della “norma che si desume” dagli artt. 250 e 449 del codice civile; 29, comma 2, e 44, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione del- l’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127); 5 e 8 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di pro- creazione medicalmente assistita), per contrasto con gli artt. 2, 3, 24, 30 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 3 e 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, sollevata dal Tribunale ordinario di Pisa, con l’ordinanza indicata in epigrafe. 

L’atto di nascita del cittadino straniero nato in Italia non può recare il riconoscimento di due madri
di Michele Sesta 

Con la pronuncia n. 237/2019 in commento la Corte costituzionale dichiara inammissibile la questione di costituzionalità della norma impeditiva della formazione di un atto di nascita recante il riconosci- mento del nato, cittadino straniero, da parte di due madri. L’Autore sottolinea come la questione sia anche infondata, specie in considerazione dei precedenti della Corte attestati sulla necessaria diversità di sesso dei genitori. 

La questione 

La Corte costituzionale è stata chiamata dal Tribunale di Pisa a risolvere la questione relativa alla pretesa incostituzionalità delle disposizioni in mate- ria di formazione dell’atto di nascita che impediscono l’indicazione in esso di due madri, l’una asseritamente tale per aver recato l’ovulo, l’altra per aver condotto a termine la gravidanza e messo al mondo il figlio (1). Si trattava di cittadino statunitense nato in Italia, onde il suo stato di filiazione era disciplinato dal diritto del Wisconsin, Stato per il quale anche la madre intenzionale, sposata con la madre gestazionale, risulta genitore del minore. Tuttavia l’atto di nascita doveva necessariamente formarsi in Italia ai sensi degli artt. 23 e 30, d.P.R. n. 396/2000, cosicché, il giudice a quo è stato chiamato a decidere sulla legittimità del rifiuto posto dall’ufficiale dello stato civile alla richiesta di riconoscimento congiunto presentata dalla coppia di donne del minore nato in Italia.
Sul presupposto di non potere accogliere il ricorso delle due sedicenti madri, il Tribunale di Pisa ha quindi sollevato questione di legittimità della norma desunta da varie disposizioni “nella parte in cui non consente di formare in Italia un atto di nascita in cui vengono riconosciute come genitori di un cittadino di nazionalità straniera due persone dello stesso sesso, quando la filiazione sia stabilita sulla base della legge applicabile in base all’art. 33, L. n. 218/1995” per contrasto, secondo il remittente, con gli artt. 2, 3, 24, 30, 117 Cost.: in relazione, quest’ultimo, agli artt. 3 e 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989. 

A ben vedere, la stessa ordinanza di remissione era consapevole che il vero problema non fosse rappresentato tanto dalle norme impugnate – cioè gli artt. 449 c.c.; 29, comma 2, e 44, comma 1, d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396; 250 c.c.; 5 e 8, L. 19 febbraio 2004, n. 40, che si limitano a far riferimento ai genitori al fine della formazione dell’atto di nascita – quanto piuttosto da quelle a monte, dalle quali deriva il concetto stesso di genitorialità, riconoscendo che il diritto italiano non è gender neutrale che tale costruzione non è di per sé costituzionalmente illegittima. Essa, dunque, aveva ammesso che, dal punto di vista del diritto interno, appare allo stato escluso che genitori di un figlio possano essere due persone dello stesso sesso. A tale riguardo, come meglio si dirà, la Corte costituzionale ha precisato che detta ultima affermazione, assunta in premessa dal Tribunale di Pisa, “resiste, dunque, a censura”. Per di più, nella fattispecie la questione era stata mal posta, non avendo il Tribunale di Pisa chiarito quale fosse effettivamente la “norma desunta” della quale auspicava la caducazione, e quindi giustamente la Corte l’ha ritenuta inammissibile. 

La genitorialità secondo la Corte costituzionale 

La motivazione della sentenza in oggetto reca affer- mazioni di grande rilevanza che vanno ben oltre il tema della inammissibilità di cui al dispositivo e che tratteggiano in modo molto netto il pensiero della Corte circa i caratteri della genitorialità conformi al vigente ordinamento nazionale. 

Le originarie ricorrenti avevano infatti sostenuto, nell’àmbito del giudizio di costituzionalità instaura- tosi a seguito della rimessione, che il Tribunale di Pisa, anziché rimettere la questione alla Corte, avrebbe dovuto direttamente riconoscere che il diritto interno non impedisce la dichiarazione di nascita recante il riconoscimento delle due donne, che a torto, dunque, l’ufficiale di Stato civile aveva rifiutato di ricevere. Come a dire che, seguendo un’interpretazione costituzionalmente orientata, il remittente avrebbe potuto direttamente accogliere la richiesta diretta alla formazione dell’atto di nascita di cui trattasi. 

Nel respingere siffatta affermazione, la Corte osserva che “è pur vero che la genitorialità del nato a seguito del ricorso a tecniche di PMA è legata anche al ‘consenso prestato[’], e alla ‘responsabilità’ conseguentemente assunta, da entrambi i soggetti che hanno deciso di accedere ad una tale tecnica procreativa (omissis). Ma tutto ciò sempre che quelle coinvolte nel progetto di genitorialità così condiviso siano cop- pie ‘di sesso diverso’. Per quanto espressamente disposto dall’art. 5 della predetta l. n. 40/2004, le coppie dello stesso sesso non possono accedere alle tecniche di PMA”. Aggiunge ancora la Corte, richiamando la sentenza n. 221/2019, che “[l’]esclusione dalla PMA delle coppie formate da due donne non è […] fonte di alcuna distonia e neppure di una discriminazione basata sull’orientamento sessuale” e che “ad opposte conclusioni neppure può poi condurre la successiva legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), che – pur riconoscendo la dignità sociale e giuridica delle coppie formate da persone dello stesso sesso – non consente, comunque, la filia- zione, sia adottiva che per fecondazione assistita, in loro favore. Dal rinvio che il comma 20 dell’art. 1 di detta legge opera alle disposizioni sul matrimonio (cosiddetta clausola di salvaguardia) restano, infatti, escluse, perché non richiamate, quelle, appunto, che regolano la paternità, la maternità e l’adozione legittimante”. 

Verso nuovi paradigmi della genitorialità? 

Dunque, può ritenersi che l’eccezione, oltre che inammissibile, fosse comunque infondata per la ragione che, a ben vedere, argomentando anche da Corte cost. n. 272/2017 (2), è la Costituzione stessa (artt. 29 e 30) ad esigere che i rapporti genitori-figli corrano tra un figlio, un padre e una madre e ciò non ha alcun carattere discriminatorio (3), né può ledere l’interesse del figlio, che la legge dispone sia quello di conseguire uno stato legale, non necessariamente corrispondente alla verità genetica, ma coerente col fatto che l’embrione si forma dall’unione di uno spermatozoo e di un ovulo. 

Al riguardo è altresì opportuno sottolineare il nesso evidenziato dalla sentenza n. 138/2010 (4) tra gli artt. 29 e 30, che reca evidente, nel disegno della Costituzione, il legame tra famiglia, matrimonio e figli (5), il quale non esclude la tutela apprestata al rapporto genitori e figli anche a prescindere dal matrimonio, fermo restando che di genitori, cioè di coppia almeno in potenza idonea alla generazione, si tratti.
Se non è incostituzionale la riserva del matrimonio alle coppie eterosessuali come può esserlo l’attribuzione dello stato di figlio solo a chi è generato da una coppia uomo-donna? 

È estranea alla Costituzione l’idea che possano costituire coppia genitoriale due soggetti dello stesso sesso, incapaci per natura di generare (6). In questo senso è rilevante il riconoscimento dei diritti della famiglia come società naturale, che segna il perimetro applicativo di tutte le disposizioni che seguono il comma primo dell’art. 29; il che, secondo i recenti orienta- menti della Corte, giustifica i limiti legislativi alle tecniche di PMA, primo fra tutti il divieto della surrogazione di maternità, a proposito della quale la Consulta si è espressa in termini molto chiari nella citata sentenza n. 272 del 2017, a mio avviso, la più rilevante tra le recenti pronunce del giudice delle leggi in materia di filiazione, ove, nell’àmbito di una vicenda relativa all’impugnazione del riconosci- mento di un figlio nato mediante ricorso alla surrogazione di maternità praticata all’estero, la Consulta ha espresso “la considerazione dell’elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, vietata da apposita disposizione penale”, “in quanto correlato a una pratica che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, e per tale motivo è vietata dalla legge”. Ancor più di recente, la Corte (7) ha rigettato perché non fondate le questioni di legittimità degli artt. 1, commi 1 e 2, 4, 5 e 12, commi 2, 9 e 10, L. n. 40/2004, che vietano alle coppie dello stesso sesso di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita. 

In definitiva, dal combinato disposto delle predette decisioni emerge che la Corte, pur richiamando le proprie precedenti sentenze demolitorie in materia di PMA (8), ha messo in luce la compatibilità con la Costituzione della scelta legislativa di fondo, quella cioè di pretendere che la PMA si conformi al modello di famiglia caratterizzato dalla presenza di una figura materna e di una figura paterna, avvertendo tuttavia che le tecniche di PMA aprono scenari innovativi rispetto ai paradigmi della genitorialità e della fami- glia storicamente radicati nella cultura sociale, attorno ai quali è evidentemente costruita la disci- plina degli artt. 29, 30 e 31, Cost., suscitando inevitabilmente, con ciò, delicati interrogativi di ordine etico. 

Il compito di ponderare gli interessi in gioco e di trovare un punto di equilibrio tra le diverse istanze – tenendo conto degli orientamenti maggiormente diffusi nel tessuto sociale, nel singolo momento storico secondo la Corte è affidato in via primaria al legislatore, quale interprete della collettività nazio- nale, salvo il successivo sindacato sulle soluzioni adottate da parte della Corte stessa onde verificare che esse non decampino dall’alveo della ragionevolezza (9). 

In questo quadro, nella decisione n. 221/2019 la Corte ha ritenuto razionale e giustificata la disciplina ordinaria censurata e quindi che meriti tutela una famiglia ad instar naturae quale “‘luogo’ più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato”, senza che ciò possa rappresentare alcuna discriminazione relativamente all’orientamento sessuale. Dunque “la scelta espressa dalle disposizioni censurate si rivela non eccedente il margine di discrezionalità del quale il legislatore fruisce in subiecta materia, pur rimanendo quest’ultima aperta a soluzioni di segno diverso, in parallelo all’e- volversi dell’apprezzamento sociale della fenomenologia considerata” (10). Il che vale a dire che la Corte non si è espressa una volta per sempre e che potrà rivedere le cose se la coscienza sociale muti, esatta- mente come, oltre cinquant’anni or sono, accadde con riguardo alle norme che punivano l’adulterio in modo differenziato tra moglie e marito (11). 

NOTE

(1) Trib. Pisa 15 marzo 2018, n. 129, ord., in Foro it., 2018, 1810, con nota di Casaburi, Le nuove forme di genitorialità: alla ricerca di fondamenta normative differenziate. 

(2) Corte cost. 18 dicembre 2017, n. 272, in Foro it., 2018, 21 ss., con nota di Casaburi, Le azioni di stato alla prova della Con- sulta. La verità non va (quasi mai) sopravvalutata. 

(3) Cfr. Corte cost. n. 221/2019, www.pluris.it. 

(4) Cfr. Corte cost.15 aprile 2010, n. 138, in questa Rivista, 2010, 653 ss., con nota di Gattuso, La Corte costituzionale sul matrimonio tra persone dello stesso sesso. 

(5) Per una profonda riflessione sul punto nonché sui più rilevanti profili della genitorialità da PMA, cfr. Nicolussi, Famiglia e biodiritto civile, in Eur. dir. priv., 2019, 713 ss. 

(6) Cfr. tuttavia la criticabile Cass. 30 settembre 2016, n. 19599, in Corr. giur., 2017, 181 ss., con nota di G. Ferrando, Ordine pubblico e interesse del minore nella circolazione degli “status filiationis”, che ha consentito la trascrizione di un atto di nascita formato all’estero recante l’accertamento della filiazione nei con- fronti di due donne, l’una che aveva donato l’ovulo e l’altra che aveva portato a termine la gestazione e partorito il figlio, stante l’apporto di entrambe alla nascita. 

(7) Corte cost. 23 ottobre 2019, n. 221, cit. 

(8) Corte cost. 5 giugno 2015, in Foro it., 2015, 2254 ss., con nota di Casaburi, La Corte costituzionale apre (con qualche ambi- guità) l’accesso alla procreazione medicalmente assistita; Corte cost. 10 giugno 2014, n. 162, in Eur. dir. priv., 2014, 1105 ss., con nota di Castronovo, Fecondazione eterologa: il passo (falso) della Corte costituzionale; e in Corr. giur., 2014, 1062 ss., con nota di Ferrando, La riproduzione assistita nuovamente al vaglio della Corte costituzionale. L’illegittimità del divieto di fecondazione “eterologa”; in argomento cfr. Sesta, La procreazione medical- mente assistita tra legge, Corte costituzionale, giurisprudenza di merito e prassi medica, in questa Rivista, 2010, 839 ss. 

(9) Al riguardo cfr. Segni, Unioni civili: non tiriamo in ballo la Costituzione, in Nuova Giur. civ. comm., 2015, 707 ss. 

(10) Corte cost. n. 221/2019, cit. Cfr. sul punto Segni, Troppi dubbi sulla procreazione medicalmente assistita, in questa Rivi- sta, 2013, 528. 

(11) Corte cost. 28 novembre 1961, n. 64, in Giur. cost., 1961, 1224 ss., e in Foro it., 1961, 1777 ss.; Corte cost. 19 dicembre 1968, n. 126, in Giur. cost., 1968, 2175 ss., con note di Gianzi, L’adulterio alla luce di due importanti sentenze della Corte Costituzionale; Modugno, L’adulterio come delitto e come causa di separazione (in margine al commento del prof. Salvatore Satta alle sentenze n. 126 e n. 127 della Corte Costituzionale); Zaccaria, Adulterio: violazione dell’eguaglianza tra coniugi non “giustificata” dall’unità della famiglia.

Competenze

Postato il

23 Giugno 2021

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