La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28727/2023, ha affermato il principio per cui “In tema di crisi familiare, nell’ambito del procedimento di cui all’art. 472-bis.51 c.p.c., è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio”.

La recente riforma Cartabia dei procedimenti relativi alle persone, ai minorenni e alle famiglie ha espressamente previsto la possibilità di proporre domanda cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, nell’art. 473-bis.49 c.p.c., in relazione al giudizio contenzioso. Analoga previsione non è stata riportata nell’art. 473-bis.51 c.p.c., norma dedicata al procedimento su domanda congiunta.

La giurisprudenza di merito a riguardo si è divisa.

Il Tribunale di Firenze, con la sentenza del 15 maggio 2023, ha ritenuto che la riforma di cui al D.lgs. n. 149/2022 consente il cumulo della domanda di separazione e divorzio solo nei procedimenti contenziosi, non venendo in contrasto, in tale caso, con il principio di indisponibilità in materia matrimoniale, dichiarando improponibile la domanda di divorzio, mentre ha omologato la separazione consensuale proposta congiuntamente.

In senso contrario si sono pronunciati i Tribunali di Milano, di Genova, Vercelli e Lamezia Terme, ammettendo la possibilità di proporre cumulativamente le domande di separazione e divorzio in maniera congiunta.

A fronte di tali contrasti, il Tribunale di Treviso, con ordinanza del 31.05.2023, ha chiesto l’intervento della Suprema Corte di Cassazione, attraverso un rinvio pregiudiziale così come attualmente consentito dall’art. 363-bis c.p.c. della riforma Cartabia, osservando quanto segue.

Sul piano letterale, l’art. 473-bis.51 c.p.c. non prevede espressamente la possibilità di realizzare tale cumulo, a differenza di quanto affermato nell’art. 473-bis.49 c.p.c.

Tuttavia, proprio sul piano letterale, si è rilevato che la dicitura al primo comma dell’art. 473-bis.51 c.p.c.: “domanda congiunta relativa ai procedimenti di cui all’art. 473-bis.47” sarebbe indice di ammissibilità del cumulo. Infatti, se il Legislatore avesse inteso escludere il cumulo, non avrebbe utilizzato il plurale con “…relativa ai procedimenti di cui all’art. 473-bis.47 c.p.c.” ma avrebbe fatto riferimento ad “uno” dei procedimenti di cui all’art. 473-bis.47.

Un altro fondamento a favore dell’ammissibilità del cumulo dovrebbe essere ricondotto nella ratio sottesa all’introduzione dello stesso per i procedimenti contenziosi, poiché anche la presentazione di domande congiunte di separazione e divorzio realizza un risparmio di energie processuali, che si trova alla base dell’art. 473-bis.49 c.p.c.

  I sostenitori della tesi contraria al cumulo di domande consensuali, invece, hanno fatto leva sul tema della indisponibilità dei diritti oggetto degli accordi, che risulterebbero, quindi, dei patti prematrimoniali finalizzati ad incidere sugli effetti dell’eventuale futuro divorzio e perciò nulli, ai senti dell’art. 160 c.c., tanto più se si tiene conto del fatto che avrebbero ad oggetto diritti che, oltre che indisponibili, non sarebbero ancora sorti. 

Ebbene, chi ne sostiene l’ammissibilità evidenzia che i coniugi che propongono due domande congiunte di separazione e divorzio in maniera cumulativa non concludono, in sede di separazione, un accordo sugli effetti del loro eventuale futuro divorzio, tanto da condizionare la volontà di un coniuge o da comprimere i suoi diritti indisponibili.     

A dirimere la questione, come anticipato, è intervenuta la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28727/2023 del 16.10.2023, affermando che, al fine di velocizzare i tempi necessari per giungere al divorzio, è ammissibile il cumulo di domande congiunte, in virtù del fatto che, tale proposizione cumulativa, realizza un risparmio di energie processuali che consente alle parti di trovare, in un’unica sede, un accordo complessivo sia sulle condizioni di separazione sia sulle condizioni di divorzio, concentrando in un unico ricorso l’esito della negoziazione delle modalità di gestione di tale crisi.

L’accordo dei coniugi in sede di divorzio, quindi, ha rilevanza negoziale solo per quanto riguarda le condizioni inerenti alla prole e i rapporti economici, nel cui merito il Tribunale non deve entrare, fatto salvo il caso in cui vi sia contrasto tra le condizioni stabilite e l’interesse dei figli o rispetto a norme inderogabili.

In definitiva, la Corte, ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c., pronunciando sul rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Treviso, enuncia il suddetto principio di diritto: “In tema di crisi familiare, nell’ambito del procedimento di cui all’art. 472-bis.51 c.p.c., è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio”.

Per saperne di più, contatta lo Studio Sesta-Ruggini.

Avv. Giovanni Ricci

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