Care Studentesse e Cari Studenti,
oggi termina il Corso di diritto di famiglia. Un Corso che si è tenuto in modo del tutto speciale, perché dopo appena una settimana dall’inizio delle lezioni l’Università è stata chiusa per l’emergenza sanitaria. Si è chiusa ma non si è fermata; grazie a un eccezionale sforzo organizzativo dell’Ateneo e del Dipartimento, l’insegnamento è proseguito on-line, secondo modalità che mai in passato erano state attuate. Mi auguro che abbiate tratto giovamento da queste lezioni a domicilio, che avete seguito numerosi sino ad oggi. Siamo passati dall’aula reale all’aula virtuale e, per certi versi, la lezione è tornata com’era all’inizio della storia dell’Università, una lectio, una lettura davanti agli studenti. Forse non abbiamo dialogato come quando le lezioni sono di presenza, tuttavia, grazie a questo mezzo, ho potuto ugualmente darvi un’idea abbastanza estesa dell’attuale diritto di famiglia e, soprattutto, ripercorrere assieme a Voi la via attraverso la quale esso è diventato quello che è.
1 – Vi ho spesso ripetuto – e l’ho scritto di recente in un lavoro i cui contenuti oggi ripropongo a conclusione del Corso – che negli ultimi decenni il diritto di famiglia ha conosciuto una radicale trasformazione, una vera metamorfosi. Credo che questa metamorfosi possa sintetizzarsi nel motto: dal legame matrimoniale al legame genitoriale. Si è infatti verificato un passaggio per certi versi epocale, come quello che oltre un secolo e mezzo fa aveva messo in luce Sumner Maine; dalla preminente rilevanza giuridica del matrimonio, che in tutti gli ordinamenti europei stava alla base dei rapporti familiari, a quella attribuita ai legami di filiazione, oggi contrassegnati da una loro propria stabilità giuridica, indipendente da quella del rapporto, se sussistente, tra i genitori: è proprio la fermezza del vincolo di filiazione, cui corrisponde un comune esercizio della responsabilità genitoriale, che reca riconoscibilità e identità alla famiglia contemporanea. Per di più, come è stato scritto molto efficacemente, l’indissolubilità, che è stata per secoli la caratteristica del matrimonio, si è trasferita dal legame orizzontale di coppia a quello verticale genitori-figli, considerato che i genitori, anche se non più coniugati tra loro conservano un legame giuridico connesso all’esercizio comune della responsabilità genitoriale.
2 – Ma andiamo con ordine. Tutti siamo consapevoli della precarietà che caratterizza i legami orizzontali tra adulti, indipendentemente dalla forma giuridica che li contraddistingue, tanto che i moderni ordinamenti europei non frappongono alcun ostacolo allo scioglimento dei vincoli matrimoniali, sul presupposto della configurabilità di un vero e proprio diritto di separarsi, divorziare e costituire una nuova famiglia. Sappiamo anche che per secoli le cose non sono andate in questo modo e che l’ordinamento poneva vincoli rigidi alla possibilità di sciogliere il matrimonio, anche in assenza di figli, perché esso costituiva la garanzia della stabilità dell’istituzione familiare, alla quale l’ordinamento assegnava una irrinunciabile funzione sociale nonché compiti di cura e assistenza dei suoi membri dalla nascita sino alla morte. Di questa risalente concezione – che l’epidemia in atto ha singolarmente reso attuale – è testimone l’articolo 29 della Costituzione che, riconoscendo i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, evidenzia come essa costituisca un organismo in qualche modo titolare di interessi distinti da quelli dei singoli membri che di essa fanno parte. È altresì chiarissimo come questa disposizione consideri il matrimonio quale indispensabile base giuridica per l’attribuzione dei diritti che l’ordinamento riconosce a quella società naturale chiamata ‘famiglia’. È anche pertinente notare che il secondo comma dell’articolo consente che, nell’ambito del rapporto matrimoniale, il legislatore possa prevedere limiti al principio dell’eguaglianza giuridica e morale tra i coniugi «a garanzia dell’unità familiare», che, nella visione del Costituente, si conferma dunque il bene prioritariamente tutelato.
La formula costituzionale risale a oltre settanta anni fa e naturalmente la realtà socioeconomica che essa rifletteva non è quella odierna di una Nazione postindustriale. L’Italia era all’epoca un Paese eminentemente agricolo e l’attività era perlopiù esercitata da coltivatori diretti o da mezzadri attraverso il lavoro di tutta la loro famiglia, che era chiamata a svolgere una funzione produttiva di primario rilievo. Si pensi che nel codice civile, fino al 1964, era previsto all’art. 2142, rubricato «Famiglia colonica», che la composizione della famiglia del mezzadro non potesse volontariamente essere modificata senza il consenso del concedente (cioè del proprietario del fondo concesso in mezzadria) salvi i casi «di matrimonio, di adozione, e di riconoscimento di figli». È ovvio che la famiglia venisse qui in rilievo quale organismo produttivo, al punto che i suoi membri non potevano liberamente modificarne la composizione e, quindi, per esempio, abbandonare la casa comune senza il consenso del concedente (art. 2148 c.c.). Oggi l’agricoltura ha perso d’importanza e comunque è da tempo industrializzata: in ogni campo, il valore supremo è quello della mobilità, della disponibilità al lavoro e al consumo, e per i vincoli rigidi – come il matrimonio tradizionale – lo spazio è assai ristretto, riservato alla volontaria e libera scelta.
Come scrisse con singolare preveggenza, più di sessant’anni or sono, l’allora trentenne Pietro Rescigno “la famiglia ha perduto la sua funzione tradizionale sul piano dei rapporti economici e sul piano delle relazioni sociali. Può sembrare paradossale, ma, perduti questi valori economici e sociali, la famiglia si è svuotata anche del suo alimento spirituale, cioè dell’amore. Del resto, un pensatore non sospetto aveva già sottolineato che non si sta assieme per stare assieme, ma per fare assieme qualcosa”. Mi fa piacere constatare, tuttavia, che la funzione economica della famiglia non sia scomparsa e tuttora esiga risposte dal diritto, come il bel libro di Luigi Balestra, Business e sentimenti, ha di recente confermato.
L’enorme evoluzione del tessuto economico e sociale che si è prodotta in questi decenni ha inevitabilmente modificato i comportamenti e i valori, favorendo l’accettazione di relazioni familiari anche al di fuori del vincolo matrimoniale, in precedenza assolutamente osteggiate. Sotto questo profilo, l’art. 29, primo comma, Cost. può definirsi metaforicamente un fossile, cioè il resto pietrificato di un organismo un tempo vivente, considerato che, anche in Italia, nonostante la formula costituzionale, oggi l’ordinamento disciplina e attribuisce natura familiare a tante relazioni che non si fondano sul matrimonio, a riprova che il diritto non è quello scritto nella legge ma quello che vive nella società.
Sul piano giuridico occorre altresì considerare che la norma dell’art. 29 Cost. deve oggi coordinarsi con quanto disposto dall’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, secondo la quale a ogni persona è riconosciuto il diritto fondamentale «di sposarsi e di costituire una famiglia», formula che rende evidente come l’ordinamento, nel suo insieme, consideri familiari relazioni che prescindono del matrimonio. Anche la Convenzione europea dei diritti dell’uomo enuncia all’art. 12 il diritto dell’uomo e della donna di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto, il che testimonia come possa costituirsi una famiglia anche senza matrimonio, specie con riguardo ai rapporti di filiazione. Sotto altro riguardo, è stato da tempo dimostrato come il principio dell’art. 29 Cost. vada interpretato secondo criteri sistematici ed innanzi tutto coordinato con quanto disposto dall’art. 2 Cost. e si è quindi concluso che la formula, ancorché fortemente caratterizzata dal richiamo al matrimonio, non impedisca di ritenere che anche una relazione di fatto, la quale ricalchi lo schema della convivenza familiare secondo un modello socialmente e storicamente tipizzato, dia vita ad una formazione sociale, la cosiddetta «famiglia di fatto», nell’ambito della quale la persona deve ricevere protezione e tutela dei propri diritti. Durante il Corso abbiamo approfondito il contenuto della L. n. 76/2016 che – sulla scia di consimili considerazioni – ha introdotto l’unione civile tra persone dello stesso sesso e dettato regole in materia di convivenza di fatto.
Recentemente ho notato come la formula costituzionale, che la cultura dei giuristi esattamente attribuisce al pensiero cattolico, si rispecchi singolarmente in un celebre passo del De Officiis di Cicerone, il quale rilevava che per natura tutti i viventi hanno il desiderio di procreare e che quindi la prima forma di società risiede nell’accoppiamento, poi si incarna nei figli, infine in una casa e nei beni comuni: «Ed è questo il primo principio della città e, direi quasi, il semenzaio dello Stato». Nel pensiero di Cicerone la finalità sociale della famiglia ne costituisce l’essenza stessa. Notavo come il passo del De Officiis riecheggi nel titolo della prolusione bolognese di Antonio Cicu, Maestro della nostra Università al cui nome è intitolata la ricchissima biblioteca giuridica da lui fondata. Quella prolusione fu letta esattamente cento anni or sono per inaugurare l’insegnamento del Diritto civile che Cicu impartì per trent’anni nel nostro Ateneo; in essa, egli prende le mosse proprio dall’aforisma ciceroniano per evidenziare il nesso tra società domestica e società politica, tra famiglia e Stato, per mettere in luce come nella famiglia e nei rapporti familiari predominino interessi superiori a quelli dei singoli individui e doveri piuttosto che diritti.
3 – Siamo tutti consapevoli che oggi le cose non stanno più così e che anzi i diritti e gli interessi individuali dominano tutte le relazioni familiari, non solo degli adulti, ma anche dei figli, perché anche l’interesse del minore, che definiamo superiore, è pur sempre interesse individuale di uno specifico soggetto minore.
Ma tutto questo significa che negli ordinamenti europei contemporanei si è perduta la dimensione sociale dei rapporti familiari o che, invece, essa si presenta sotto diverse angolazioni? L’idea che tenterò di argomentare è la seconda, e nuovamente osservo che la pandemia ha messo in luce il ruolo solidaristico e la funzione sociale che nell’emergenza la famiglia ha pur sempre il compito di svolgere e le tragiche conseguenze dell’allontanamento degli anziani dal suo interno.
Come è stato scritto, un nuovo paradigma temporale ha poco a poco intaccato le strutture sociali, compresa la famiglia, che si è trovata investita dalla cultura del narcisismo, dalla rivendicazione del diritto alla felicità e alla autodeterminazione di ciascun individuo. La famiglia ha infatti cessato di essere una istituzione incaricata di assicurare le condizioni di sopravvivenza della collettività e si è ridotta a una dimensione di relazioni private tra individui. Così facendo la famiglia post-moderna sembra collocarsi in un orizzonte temporale che fa leva esclusivamente sul presente, che ha perduto il senso del passato precedente i rapporti dell’attualità e che non si preoccupa del futuro. Noto per inciso che questo spiega le recenti riforme del diritto francese in materia successoria, tese a liberare la volontà del singolo dai lacciuoli familiari, mentre in Italia ancora il regime della successione legittima e soprattutto di quella necessaria, che secondo alcuni rappresenta un ostacolo alla libertà individuale, non è stato intaccato. La disciplina giuridica della famiglia e quella delle successioni – in origine ispirate a un unico modello di famiglia fondato sul matrimonio indissolubile e sul susseguirsi delle generazioni – si sono da tempo fortemente divaricate, così che, paradossalmente, la volontà e la autonomia della persona rispetto ai rapporti familiari che la riguardano trovano maggiore riconoscimento in vita, mentre si restringono con riguardo alle sue decisioni di carattere successorio. Il regime della successione necessaria, che coinvolge discendenti, ascendenti e coniuge, mette bene in luce la dimensione intergenerazionale della famiglia, cioè delle differenti sequenze familiari vissute dalla persona defunta, fermo restando che esso sembra presupporre che il de cuius sia stato parte di un’unica famiglia, mentre oggi può accadere che nella sua vita se ne siano avvicendate più d’una. Il che evidenzia molteplici storture, specie con riferimento al coniuge “dell’ultima ora”, chiamato alla successione come se avesse condiviso una vita matrimoniale di decenni.
Ripercorriamo quanto accaduto negli ordinamenti europei durante gli ultimi tempi, in Italia a partire dal 1970 allorché fu introdotto il divorzio, che ha rappresentato il punto di avvio di una inarrestabile evoluzione del diritto di famiglia. In breve, il regime della coppia coniugata, al quale come si è visto la Costituzione attribuisce una rilevanza fondante, è stato liberalizzato e reso precario. A seguito di numerose riforme succedutesi in quest’ultimo mezzo secolo, oggi la coppia che voglia vivere un rapporto affettivo e sessuale riconosciuto come rilevante dall’ordinamento giuridico può optare per tre o forse quattro distinte situazioni: quella del matrimonio, aperto in molti Paesi europei anche a persone dello stesso sesso, dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, della convivenza tra persone di sesso diverso o dello stesso sesso con i caratteri previsti dalla legge, di una convivenza del tutto libera, addirittura senza alcuna coabitazione. A ciascuna di queste situazioni, che pure in linea di principio possono consentire di configurare relazioni familiari, la legge attribuisce diversa valenza. Sotto altro riguardo, può affermarsi che ognuno è libero di scegliere su misura il vestito che maggiormente si adatta alle proprie esigenze affettive e relazionali, con diverse graduazioni di responsabilità e che ciascuno di questi modelli può succedersi nel tempo di vita della medesima persona. Infatti, qualunque sia la veste giuridica prescelta, l’interessato può unilateralmente e rapidamente sciogliere il vincolo giuridico di coppia o cessare la convivenza.
Tutto ciò era impensabile fino a qualche decennio fa e stravolge il contesto tradizionale. Nel diritto italiano questa prospettiva ha di recente coinvolto il problema della determinazione dell’assegno divorzile, la cui disciplina è stretta tra le contrapposte esigenze di libertà dello sposo e di solidarietà postconiugale.
Il tema contrassegna in modo differente i vari modelli europei. Significativo a questo riguardo il clean break, proprio della più parte degli ordinamenti di Common Law e che ha fatto capolino anche in quello italiano, che tuttavia non pare pronto a riceverlo. In Italia, la Cassazione ha chiarito che – in caso di accertata sperequazione economico-reddituale tra gli ex coniugi – spetta a quello svantaggiato un assegno la cui entità deve essere ragguagliata al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare valorizzando le aspettative professionali ed economiche sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell’età del richiedente. Nel Regno Unito, ove è stata concepita la citata formula del clean break, la permanenza di vincoli economici tra gli ex coniugi è contemplata alla stregua di una soluzione del tutto residuale – cfr. § 25A(2) Matrimonial Causes Act–. La legge in particolare obbliga il giudicante a considerare in prima istanza l’opportunità del clean break e quindi di una divisione netta del patrimonio mediante financial orders (con la significativa eccezione della presenza di figli). I periodical payment orders eventualmente disposti, altresì, possono avere durata limitata in corrispondenza della raggiunta autonomia patrimoniale dell’ex coniuge beneficiario.
Con riguardo all’ordinamento tedesco, la materia è incardinata sul principio fondamentale della autoresponsabilità (§ 1569 BGB), alla cui stregua “dopo il divorzio ciascuno dei coniugi deve farsi carico del proprio mantenimento”. Coerentemente, l’assegno divorzile ricorre soltanto in ipotesi connotate da esigenze di tipo squisitamente alimentare: assolve in altri termini una funzione assistenziale ed è, peraltro, suscettibile di limitazione temporale.
In Francia, ancora, i rapporti tra ex coniugi sono ispirati alla logica della table rase. La materia è informata a un principio di concentrazione delle conseguenze del divorzio: con lo scioglimento del matrimonio, un’unica prestazione di capitale (la prestation compensatoire, art. 270, co. 2, c.c.), a beneficio dell’ex coniuge che soffra la disparità reddituale, adempie una funzione compensatoria, indennitaria e alimentare.
L’ordinamento spagnolo si connota invece per una maggiore vicinanza a quello italiano, contemplando una pensión compensatoria, prestazione tendenzialmente periodica appannaggio dell’ex coniuge che subisca un peggioramento della situazione economica successivamente al divorzio, in ragione dello squilibrio patrimoniale in seno alla coppia. L’assegno può tuttavia essere sottoposto a termine.
4 – Alla precarizzazione della relazione di coppia l’ordinamento contrappone una forte consolidazione dei legami genitoriali, attuata attraverso strumenti giuridici che in passato non avevano ragione di esistere perché i legami verticali erano garantiti dalla indissolubilità del vincolo matrimoniale, cosicché la tutela si indirizzava prioritariamente in favore dei figli legittimi.
La stabilità del legame di filiazione si presenta sotto un duplice aspetto: in primo luogo, con l’affermazione dello stato unico di figlio e con riguardo alle regole che, nell’ambito della crisi del rapporto genitoriale, disciplinano l’affidamento dei figli minori e gli obblighi nei confronti dei figli maggiorenni non autosufficienti; in secondo luogo, con riguardo al regime delle azioni di stato. Sotto il primo profilo occorre ricordare che, a seguito della importante riforma intervenuta nel 2012, in Italia è stato affermato lo stato unico di figlio, il che significa che la condizione giuridica del nato è indipendente dalla sussistenza del vincolo matrimoniale tra i genitori, ed è identica per tutti. Il dato di maggior interesse è che non solo è venuta meno la secolare differenziazione tra figli legittimi e figli naturali o illegittimi, ma che il matrimonio non è più la porta d’ingresso nella famiglia, in quanto il vincolo di parentela si instaura ora tra discendenti e collaterali indipendentemente dal rapporto giuridico matrimoniale dei genitori. In altri termini la parentela non è più condizionata dal matrimonio, che ha così perduto una delle sue più essenziali finalità e si è ridotto a orpello della relazione di coppia.
All’unicità dello stato di figlio corrisponde quella delle regole che governano la responsabilità genitoriale, che sono le stesse sia nel caso di matrimonio o convivenza dei genitori sia nel caso in cui essi vivono separatamente e non coabitano. In ogni caso, i genitori esercitano la responsabilità di comune accordo e quindi devono relazionarsi tra loro per assumere le più opportune decisioni nei confronti dei figli, allo stesso modo in cui farebbero se coabitassero tutti assieme. Insomma, si è genitori per sempre e in coppia, non uti singuli. In maniera corrispondente, il figlio è titolare del diritto alla bi-genitorialità, cioè a mantenere identici rapporti con i genitori e con i parenti dei relativi rami anche quando questi non convivano. Sembra dunque che il legislatore esiga che le relazioni familiari come tali non risentano per il venir meno o addirittura per l’insussistenza ab origine della relazione orizzontale, che nel passato regime costituiva la base della famiglia.
Come abbiamo visto, c’è un altro profilo che testimonia l’intento del legislatore di rendere indissolubile il vincolo di filiazione, come è dato trarre dalla disciplina delle azioni di stato. Occorre ricordare che in origine vigeva il principio del favor legitimitatis che consentiva l’azione di disconoscimento della paternità solo al marito della donna coniugata, che doveva esercitarla subito dopo la nascita del figlio, in un termine molto breve. Questo da un lato garantiva la stabilità della famiglia, dall’altro sacrificava l’emersione della verità della filiazione. Per contro, l’azione di impugnativa del riconoscimento del figlio naturale era esperibile da chiunque ne avesse interesse ed era imprescrittibile proprio in considerazione del fatto che in quell’epoca il figlio concepito fuori del matrimonio non disponeva di una piena e incondizionata tutela e soprattutto non era giuridicamente inserito in una rete di rapporti familiari. Con le riforme degli anni Settanta ha trovato ingresso il principio della verità nei rapporti di filiazione, che poteva essere accertata in un tempo anche molto successivo a quello della nascita. Occorre anche ricordare che il principio della verità poteva finalmente trovare ingresso grazie ai progressi delle scienze mediche che, a partire dagli anni Ottanta, consentirono di escludere e di determinare con certezza la paternità del nato.
Più di recente, il nostro legislatore ha posto nuovi limiti temporali all’accertamento della verità, limiti ai quali non soggiace il figlio, per il quale le relative azioni sono imprescrittibili. Per gli altri, e particolarmente per colui che viene indicato come padre, decorsi cinque anni dalla nascita, l’azione non è più esperibile e lo stato di filiazione si consolida anche se si sia scoperto che esso non corrisponde alla verità biologica della procreazione.
Conclusivamente, l’elemento biologico ha perduto quella primaria rilevanza che gli era stata attribuita ed è stato sostituito dall’interesse del figlio – che a ben vedere riflette anche un interesse più ampio dell’intera società – alla stabilità della relazione con chi risulti suo genitore affinché venga ad essere accudito e mantenuto nel contesto relazionale in cui è rimasto collocato per un tempo significativo. In questo ambito ha assunto ampio rilievo la disciplina della procreazione medicalmente assistita, tema dibattutissimo anche in questi mesi. Anche qui lo stato del nato dipende non tanto dalla verità biologica quanto piuttosto dalla assunzione di responsabilità della coppia che accede alle tecniche.
Come è stato scritto, una tale evoluzione si è resa necessaria “in tempi ove le famiglie sono fragili, le coppie instabili e i minori sballottati da una famiglia all’altra. Il minore, come detto, rimane uno degli ultimi elementi di stabilità a partire dal quale il legislatore potrà ricostruire il diritto della famiglia”.
In questo quadro, volendo ricercare l’odierno fondamento giuridico delle relazioni familiari, torna singolarmente attuale il passo di Cicerone da cui siamo partiti. Pare infatti potersi affermare che lo scemare della vis matrimonii consenta di concludere che oggi la prima forma di società – che continuiamo a chiamare famiglia – piuttosto che nel matrimonio trovi il proprio fondamento nella procreazione, come del resto, secondo Cicerone stesso, avveniva in origine, se è vero che prima societas in ipso coniugio (vocabolo traducibile con ‘accoppiamento’) est, proxima in liberis. Una simile lettura appare come si è visto confermata dalle disposizioni in materia di unicità dello stato di filiazione e di responsabilità genitoriale, atteso che i genitori hanno lo stesso stato giuridico rispetto ai figli, indipendentemente dal fatto che siano coniugati e addirittura che convivano; in altri termini, quindi, perché vi sia giuridicamente famiglia, non occorre il matrimonio, né che vi siano unità della casa e comunanza di beni. Gli attuali lineamenti della famiglia, pertanto, appaiono modificati, non è più il matrimonio seminarium rei pubblicae, quanto piuttosto, come ai primordi, il fatto della procreazione.
Un’evoluzione così radicale come quella che si è prodotta negli ultimi cinquant’anni può creare ad un tempo facili entusiasmi oppure desiderio nostalgico di antichi modelli.
Io credo che il giurista debba attenersi con realismo a ciò che la concreta esperienza sociale, che peraltro non segue necessariamente un percorso lineare e progressivo, sottopone alla sua indagine. A questo riguardo soccorrono le lucide parole scritte quasi cento anni fa da Thomas Mann a proposito della crisi del matrimonio, questione sulla quale già allora si rifletteva non senza preoccupazione: “In ogni campo la cosa più dannosa e più sbagliata è la restaurazione di ciò che fu, giacché indietro non si torna. Ogni evasione in forme storiche ormai svuotate di vita è oscurantismo; ogni pia repressione della conoscenza non produce che menzogna e malattia. È una pietas falsa, votata alla morte e in fondo priva di autentica fede, giacché non crede nella vita e nelle sue inesauribili forze risanatrici. La via dello spirito deve, in tutti campi, essere percorsa fino in fondo, affinché l’anima possa tornare ad essere. Non si tratta di reprimere e di restaurare, ma di assimilare, nel corpo e nello spirito, la nostra conoscenza, così da costruire una nuova dignità, una nuova forma, una nuova cultura”.
5 – Care Studentesse e Cari Studenti,
oggi non si chiude solo questo Corso ma anche il mio insegnamento universitario, iniziato a Urbino nel 1985 e proseguito a Bologna dal 1987 ad oggi. In 35 anni ho tenuto migliaia di lezioni a decine di migliaia di studenti. I miei laureati bolognesi sono oltre 1100, la più parte con tesi in diritto di famiglia, insegnamento che ho avuto l’onore di inaugurare sia nell’Ateneo di Urbino che qui a Bologna, allorché il Corso fu istituito nel 1995. Di ciò sono sempre grato ai Colleghi di allora e a Quelli di oggi.
Tutto questo non sarebbe stato se non ci fosse stato, già al primo anno di studi, nel 1969, l’incontro, per me fulminante, con il Maestro Pietro Rescigno, che saluto con memore affetto e che avrei voluto potesse ascoltarmi oggi. Voglio anche ricordare con animo grato il Maestro Francesco Galgano, che con generosità ha contribuito alla mia formazione e alla mia carriera. Saluto i miei numerosi Allievi presenti: per tutti, Luigi Balestra, Enrico Al Mureden, Margherita Pittalis, Riccardo Campione, Maria Novella Bugetti, Luisa Pascucci e Alessandra Spangaro, docenti in questo o in altri Atenei. Saluto anche i miei Collaboratori più giovani, sempre vicini e disponibili, ai quali auguro ogni successo. Ringrazio tutti, perché il Loro impegno generoso e il comune lavoro di squadra hanno permesso di realizzare tante iniziative didattiche e di ricerca: penso al Corso di perfezionamento in diritto di famiglia, ai numerosi Convegni, a partire da quello Per i cinquant’anni del codice civile, e ai lavori scientifici, come il Codice della Famiglia, il Codice delle Successioni, il Codice dell’Unione civile e delle Convivenze; penso ai Prin, i cui risultati sono consegnati ai volumi: La responsabilità nelle relazioni familiari e L’erogazione della prestazione medica tra diritto alla salute, principio di autodeterminazione e gestione attuale delle risorse sanitarie. Consentitemi ancora di rivolgere un saluto grato ai tanti con cui ho condiviso l’attività professionale, per tutti Barbara Ruggini e Mirco Cilotti, anche in rappresentanza delle decine di giovani che si sono avvicendati nel mio Studio in oltre quarant’anni di avvocatura. Da ultimo, ma non per ultimo, rivolgo un pensiero affettuoso a Paola, Andrea, Stefano, Nicoló, a Lorenzo, Cloe, Bianca, nata quando questo corso era appena iniziato, e a Coloro che non ci sono più, la mia famiglia.
Bologna, 23 aprile 2020