Due soggetti cui sono stati devoluti per testamento rispettivamente ad uno tutti gli immobili del de cuius e all’altro tutti i beni mobili sono da considerarsi eredi o meri legatari?
Nella fattispecie la de cuius ha disposto con testamento olografo dei propri beni in favore della madre e dei cugini, attribuendo loro – attraverso la formula “lascio” – specifici cespiti ereditari e, precisamente, alla prima i fabbricati e i terreni e ai secondi i beni costituenti il “patrimonio mobiliare”. È bene precisare che con le predette disposizioni la testatrice ha esaurito l’intero suo patrimonio e che i beni rispettivamente assegnati alla madre e ai cugini sono di valore pressoché analogo.
La questione che si pone è se i predetti soggetti siano eredi della defunta o meri legatari; il che assume particolare rilevanza considerato che la de cuius aveva stipulato in vita alcune polizze assicurative che, per il caso di morte del contraente, individuano quali beneficiari, sulla base di una formula comune nella prassi, gli eredi testamentari o, in difetto di testamento, quelli legittimi.
Onde rispondere al quesito, occorre rammentare che ai sensi dell’art. 588, primo comma, c.c., “le disposizioni testamentarie, qualunque sia l’espressione o la denominazione usata dal testatore, sono a titolo universale e attribuiscono la qualità di erede, se comprendono l’universalità o una quota dei beni del testatore. Le altre disposizioni sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario”. Dunque, è erede colui che subentra nell’universalità o in una quota dei diritti/rapporti facenti capo al de cuius (salvo quelli che si sono estinti per effetto della morte); il legatario, invece, succede esclusivamente in uno o più diritti/rapporti determinati[1].
Tuttavia, il secondo comma della norma in esame precisa che “l’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio”. In altre parole, l’attribuzione a titolo universale è compatibile anche con l’assegnazione di uno o più beni determinati (cd. institutio ex re certa).
Come si ricava dal testo normativo, ai fini della configurabilità della fattispecie in questione concorrono: a) un elemento oggettivo, cioè l’attribuzione di uno o più beni determinati; b) un elemento soggettivo, cioè l’intenzione del testatore di assegnare i predetti beni quale “quota” dell’intero patrimonio[2].
L’indagine circa la ricostruzione della volontà del testatore si rivela particolarmente complessa. Dottrina e giurisprudenza, nell’impossibilità di formulare una regola generale, hanno individuato alcuni “indici” utili a distinguere l’ipotesi di institutio ex re certa dalla previsione di meri legati.
In primo luogo, pacificamente è esclusa la vocazione a titolo universale nell’ipotesi in cui vi sia chiamata nel solo lato attivo, con esclusione delle passività[3]. Secondo alcuna dottrina, deve altresì escludersi l’intenzione del testatore di assegnare determinati beni in funzione di “quota” del proprio patrimonio nell’ipotesi in cui egli abbia espressamente escluso che il destinatario della disposizione possa trarre vantaggio da acquisti del de cuius successivi alla redazione del testamento ovvero dalla successiva scoperta di beni dei quali lo stesso de cuius non sapeva di essere titolare[4].
Non è invece di per sé confermativa della volontà del testatore di disporre a titolo universale il fatto che egli abbia lasciato i propri beni ai figli e/o a parenti stretti[5].
Ai fini della configurabilità della fattispecie de qua, è stato ritenuto necessario che il testatore abbia disposto di tutti i propri beni[6].
È bene precisare che la mancata specificazione dell’entità della quota (cioè della sua frazione aritmetica)[7] non è di per sé preclusiva dell’attribuzione a titolo universale, purché risulti che il testatore abbia inteso quei beni come parte ideale dell’intero suo patrimonio[8]; a tale riguardo, è stata qualificata istituzione ex re certa l’attribuzione di beni individuati per categorie o classi[9].
È invece per lo più negato rilievo al criterio del rapporto proporzionale tra il valore dei singoli beni assegnati e quello dell’intero asse[10], cosicché anche l’attribuzione di cespiti di valore modesto rispetto a quello dell’intero patrimonio può integrare una disposizione a titolo universale laddove il de cuius li abbia considerati in funzione di quota dell’intero[11].
Da ultimo, tra i criteri elaborati dalla giurisprudenza, si segnala quello della presunzione di attribuzione a titolo universale, di tal ché, in caso di dubbio, la disposizione deve qualificarsi come istitutiva di erede[12].
Tanto chiarito, con riguardo al caso di specie, occorre innanzitutto evidenziare che le disposizioni rispettivamente in favore dei cugini e della madre sono “identiche” sul piano lessicale (in entrambi i casi è stata, infatti, utilizzata la formula “lascio”), da ciò potendosi desumere che non fosse intenzione della testatrice trattare in maniera differenziata i predetti soggetti. Sotto altro profilo, può presumersi che ella avesse certamente intenzione di nominare erede la madre (peraltro, unica legittimaria).
La de cuius, che ha disposto per testamento di tutti i suoi beni, per non avendo indicato delle “quote” (cioè delle frazioni aritmetiche), ha suddiviso idealmente il proprio patrimonio in due masse, l’una comprendente tutti i beni mobili, l’altra tutti i beni immobili, cosicché può ritenersi che tali due categorie di beni siano state intese dalla medesima quali parti ideali dell’intero asse. Peraltro, nella fattispecie, non v’era una significativa differenza tra il valore proporzionale dell’assegno in favore dei cugini e quello in favore della madre rispetto all’intero asse ereditario.
Le considerazioni che precedono depongono nel senso di concludere che la testatrice abbia voluto istituire “eredi” tanto la madre, quanto i cugini, disponendo in loro favore di beni determinati ex art. 588, secondo comma, c.c. Tutti i predetti soggetti, in quanto eredi, sono quindi beneficiari delle prestazioni di cui alle polizze vita stipulate dalla testatrice e avranno diritto pro quota alla liquidazione delle prestazioni assicurative.
[1] Per la distinzione tra erede e legatario si rinvia a G. Bonilini, La successione a causa di morte, in Trattato di diritto delle Successioni e donazioni, diretto da G. Bonilini, Tomo I, Milano, 2009, pagg. 11 e ss.; G. Capozzi, Successioni e Donazioni, cit., Tomo I, pagg. 71 e ss.
[2] Cfr. Cass., 5 marzo 2020, n. 6125, per cui “in tema di distinzione tra erede e legatario, ai sensi dell’art. 588 c.c., l’assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale (institutio ex re certa) qualora il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve intendersi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli, individuati”; cfr. Cass., 6 novembre 1986, n. 6516, per cui “è necessario stabilire se la disposizione sia stata data dal disponente in relazione al complesso del suo patrimonio, all’universum jus, oppure secondo una specifica individuazione dell’oggetto attribuito, in sé considerato e senza relazione alcuna con l’intero e globale patrimonio stesso”. Le pronunzie sono consultabili in DeJure.
[3] In dottrina, J. Bassi, Lascito di beni determinati, in Successioni per causa di morte – Esperienze e argomenti, a cura di V. Cuffaro, Torino, pag. 551; G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, in Riv. Dir. Civ., 1986, pag. 243 e ss.; nella giurisprudenza, Tribunale di Reggio Calabria, 2 gennaio 2004, consultabile in DeJure.
[4] S. D’Andrea, La heredis institutio ex certa re, in Trattato di Diritto delle Successioni e Donazioni, diretto da G. Bonilini, Tomo II, Milano, 2009, pagg. 234 e ss.
[5] . D’Andrea, La heredis institutio ex certa re, cit., pag. 237; S. Delle Monache, Testamento. Disposizioni generali, in Codice Civile Commentato, fondato da P. Schlesinger e continuato da F.D. Busnelli, Milano, 2005, pagg. 209 e ss.: l’A. esclude che possa risultare decisorio il vincolo di parentela tra il testatore e il destinatario della disposizione ma, tuttavia, ritiene che quando il testatore abbia assegnato singoli cespiti del proprio patrimonio, in modo da esaurirlo, ai suoi più vicini familiari, movendo dalla presunzione che i testatore avesse la consapevolezza che detti soggetti sarebbero stati chiamati ex lege all’eredità, si debba reputare che il testamento abbia “valore confermativo del disegno successorio di fonte legale”.
[6] S. D’Andrea, La heredis institutio ex certa re, cit., pagg. 234 e ss.; C. M. Bianca, Diritto Civile, II, La famiglia. Le Successioni, cit., pag. 773, per cui deve presumersi la volontà del testatore di assegnare quote del proprio patrimonio ogni qualvolta distribuisca tra i designati l’intero patrimonio o comunque tutti i beni economicamente importanti. In giurisprudenza, Cass. 12 luglio 2001, n. 9467, per cui “(omissis) è da osservare che l’attribuzione che esaurisca tutti i beni ereditari è generalmente interpretabile come istituzione di erede”; nella giurisprudenza di merito, Tribunale di Bologna, sentenza 25 febbraio 2014, n. 230, inedita.
[7] S. D’Andrea, La heredis institutio ex certa re, cit.; F.S. Azzariti, G. Martinez, G. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazioni, cit..,pag. 452, per cui “al rigoroso criterio che per aversi il concetto di quota, e quindi di istituzione di erede, occorresse l’astratto riferimento ad una parte dei beni enunciata dal testatore con una frazione aritmetica, si è finito per opporre – specialmente nella giurisprudenza – il più equo concetto che tale rapporto astratto non debba necessariamente corrispondere ad una frazione numerica predeterminata nel testamento, ma che possa anche corrispondere ad una divisione idealmente concepita dal testatore, il quale abbia voluto istituire erede quella data persona lasciandogli determinati beni, da lui considerati come quota della universalità del suo patrimonio e la cui valutazione può farsi a posteriori dopo l’apertura della successione. Si è osservato che se la legge adopera la parola quota, non per designare una res certa ma la parte di un tutto, essa tuttavia non prescrive che codesto rapporto debba esprimersi dal testatore con un linguaggio aritmetico (omissis)”. Nella giurisprudenza di merito, Tribunale Reggio Calabria, 2 gennaio 2004, cit.,per cui “è indubbio che si possa avere institutio ex re certa anche quando il testatore non abbia fatto alcun astratto riferimento al rapporto tra i beni lasciati e il patrimonio ereditario”.
[8] G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit., che chiarisce che il termine “quota” rimanda ad un “rapporto tra una parte e il tutto” e, dunque, l’intenzione cui fa riferimento l’art. 588 c.c. non potrà che consistere “nella considerazione delle certae res, specificamente menzionate, come rappresentative di una frazione dell’intero asse. Frazione che il disponente potrà essersi rappresentato, più o meno esattamente, anche in termini aritmetici, ma che la disposizione in esame consente di esprimere ‘materializzata’ per così dire in beni determinati”.
[9] Così Cass. 1° marzo 2002, n. 13310, in DeJure, per cui “è da dubitare che l’attribuzione in proprietà della totalità di determinate categorie di beni (omissis) costituisca legato, valendo certamente come istituzione di erede se intesa come quota dei beni del testatore”. In senso conforme, Cass., 6 novembre 1986, n. 6516, cit., per cui “se l’attribuzione di quota del patrimonio avviene per classi o gruppi di beni (come ad es.: tutti i mobili o tutti gli immobili, e/o quote di essi) è da ritenere, se altri elementi intrinseci della scheda non depongono chiaramente in contrario, che l’attribuzione abbia luogo a titolo universale”; in dottrina, G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, cit. per cui “caso a sé costituisce poi l’ipotesi ‘universalmente’ citata, di assegnazioni aventi ad oggetto rispettivamente tutti i beni mobili e tutti gli immobili, di fronte alle quali (dato che tertium non datur) la volontà attributiva dell’universum ius risulta dalla natura stessa delle disposizioni”; contra, in dottrina, S. D’Andrea, La heredis institutio ex certa re, cit., pag. 236, per cui la circostanza che il testatore abbia lasciato ad un soggetto tutti gli immobili e ad un altro tutti i mobili non significa di per sé che egli abbia inteso i due complessi di beni in funzione di quota.
[10] Così L. Bigliazzi Geri, Successioni testamentarie, Artt. 587-600, in Commentario del Codice Civile, a cura di A. Scialoja e G. ranca, Zanichelli Editore, Bologna, 1993, pag. 109, che ritiene che il criterio in esame non consenta di per sé solo di “stabilire quale sia l’effettiva volontà del testatore, visto che, bene o male, il valore delle res certae, se complessivamente considerato, finirà pur sempre per corrispondere ad una quota, ancorché non rilevante, del patrimonio relitto. Sicché se esso costituisce il mezzo attraverso il quale determinare la quota, non è a dire che la sua adozione consenta anche di stabilire automaticamente se il testatore abbia davvero considerato quel o quei beni o un complesso di beni come quota”; G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, in Trattato breve delle Successioni e Donazioni, diretto da P. Rescigno, coordinato da M. Ieva, Vol. I, II edizione, Cedam, 2010, pagg. 961 e ss., per cui il criterio del “rapporto proporzionale tra il valore dei beni assegnati ed il valore dell’intero asse” confonde “l’accertamento della mens testantis con la quantificazione a posteriori dell’entità quotale delle attribuzioni. Con l’aberrante conseguenza di dover riconoscere, in ogni disposizione avente a oggetto beni determinati, un’institutio ex re, non potendo mai mancare un rapporto proporzionale tra l’entità del lascito e quella dell’asse”.
[11] Cfr. Cass., 7 aprile 1971, n. 1029, in Rep. Foro it., 1971, voce Successione ereditaria, c. 2954 e in Mass. Foro. It., 1971, c. 313, per cui può esservi institutio ex re certa anche se i beni di cui è disposta l’assegnazione non costituiscono una quota rilevante del patrimonio del testatore.
[12] Cfr. Cass. 12 luglio 2001, n. 9467. cit.; Tribunale di Roma, 12 febbraio 2003 in DeJure; Tribunale di Bologna, 25 febbraio 2014, n. 230, cit. Contra, Tribunale di Savona, 1° agosto 2019, n. 75, in DeJure; in dottrina G. Capozzi, Successioni e Donazioni, cit., Tomo I, pag. 81; S. D’Andrea, La heredis institutio ex certa re, cit., pag. 236.