Michele Sesta, L’assegno di divorzio nella prospettiva italiana e in quella tedesca, in Familia, 2019, I, pp. 3-14

1. Premessa. 

Un confronto tra l’ordinamento italiano e quello tedesco in materia divorzile richiede una breve riflessione sulla disciplina giuridica delle relazioni familiari vigente in Italia. Occorre prendere le mosse dall’art. 29 della Costituzione, entrata in vigore nel 1948, che enuncia una vera e propria definizione della famiglia allorché stabilisce che la Repubblica ne riconosce e garantisce i diritti come società naturale fondata sul matrimonio1. La formula intende proclamare la preesistenza della famiglia rispetto all’ordinamento statuale e al contempo che il matrimonio ne rappresenta il presupposto essenziale. 

Non ci si può però arrestare alla disposizione costituzionale: infatti, negli ultimi anni l’ordinamento italiano ha conosciuto rilevanti evoluzioni, anche sulla scia delle norme sovranazionali che fanno parte integrante di quello interno, le quali configurano le relazioni familiari in maniera più ampia rispetto al modello costituzionale. Il riferimento è alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Entrambe stabiliscono – rispettivamente all’art. 9 della Carta dei diritti e 12 della CEDU – che il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio. Mettendo a confronto l’art. 29 Cost. con le richiamate enunciazioni della Carta dei diritti e della CEDU emerge una no- tevole differenza di prospettiva. Infatti, la Carta dei diritti, pur garantendo “la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale” (art. 33, co. 1), a ben vedere pro- clama una serie di diritti o pone divieti che hanno come destinatario l’individuo, mentre la Costituzione riconosce i “diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, così identificando nella formazione sociale “famiglia”, alla cui base sta il matrimonio, una comunità titolare di propri diritti, se non addirittura di una propria soggettività. 

Sulla scia di tale evoluzione, anche nell’ordinamento italiano il quadro normativo in cui si collocano le relazioni familiari appare oggi profondamente mutato, in virtù del recepimento di modelli che si discostano per più versi da quello cui fa riferimento l’art. 29. Ciò si deve soprattutto alle recenti leggi 20 maggio 2016, n. 76, recante la “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e la disciplina delle convivenze”2, e 10 dicembre 2012, n. 219, che, con il successivo d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, ha riformato la filiazione abolendo la distinzione tra figli legittimi e naturali e introducendo lo stato unico di figlio (art. 315 c.c.)3; leggi tutte che, nel loro insieme, hanno fatto sì che l’ordinamento tratti come familiari legami di coppia e di discendenza che prescindono dal matrimonio. Quello che si vuole rimarcare è che in forza della richiamata evoluzione normativa il ruolo del matrimonio, che nel quadro costituzionale rappresentava il fondamento stesso della famiglia, si è fortemente ridimensionato, potendosi rinvenire nell’ordinamento relazioni familiari che da esso prescindono ma che ugualmente sono rilevanti per il diritto. 

Questa premessa intende chiarire come la questione del divorzio – termine che il legislatore italiano non utilizza ricorrendo alla perifrasi scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, a seconda che si tratti di matrimonio civile o matrimonio religioso con effetti civili (c.d. matrimonio concordatario) – si ponga attualmente in termini molto meno drammatici rispetto al tempo in cui l’istituto fu introdotto con la l. 1° dicembre 1970, n. 898. Infatti, alla ridimensionata rilevanza giuridica – e prima ancora sociale – del matrimonio non può non corrispondere una diversa regolamentazione del suo scioglimento. 

Del resto, quello che nei primi anni Settanta era un evento straordinario, cioè la rottura del vincolo matrimoniale, appare oggi alquanto frequente come testimoniano le statistiche4. 

2. La normativa italiana e quella tedesca a confronto. 

La richiamata legge italiana sul divorzio prevede all’art. 5, co. 6, che “con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribuna- le, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”. Attorno a questa complessa formula, suscettibile di molteplici letture, si è sviluppato un interminabile dibattito, sia tra gli studiosi che nella giurisprudenza, di cui meglio si dirà in seguito5. 

Mettendo a confronto la disciplina italiana in materia di assegno divorzile con quella tedesca emergono immediatamente molteplici differenze. In primo luogo, sul piano quantitativo, nel senso che la legge italiana dedica alla materia un solo articolo, cioè il richiamato art. 5, l. n. 898/1970 e specificatamente i commi 6, 7, 8, 9, 10 e 11. Per contro, il BGB dedica alla materia venticinque paragrafi, dal § 1569 al § 1586 b. In secondo luogo, sul piano temporale, perché i richiamati commi da 6 a 11 dell’art. 5, l. 898 risalgono al 1970 e sono stati solo parzialmente riformulati nel 1987. L’attuale disciplina del BGB risale invece al 20076. Va detto tuttavia che, come meglio si chiarirà, benché il testo della legge italiana sia rimasto sostanzialmente immutato da quasi mezzo secolo, esso è stato diversamente interpretato e applicato nel corso dei decenni dai tribunali ed in modo particolare dalla Corte di cassazione che ha ripetutamente enunciato differenti approcci ermeneutici delle richiamate disposizioni. 

Vi sono poi altre rilevanti differenziazioni di contenuto che emergono da una compa- razione dei predetti testi di legge. Il BGB enuncia il principio fondamentale della auto- responsabilità (§ 1569), alla cui stregua “dopo il divorzio ciascuno dei coniugi deve farsi carico del proprio mantenimento”7. Trattasi di un principio che, pur a fronte di varie eccezioni (cfr. §§ da 1570 a 1573, 1576, 1577, ma v. § 1578 b che prevede la possibilità di limitare temporalmente la pretesa a un mantenimento), riflette una visione del matrimonio sensibilmente diversa da quella che contraddistingue il diritto italiano e specie dalle tradizionali applicazioni dell’art. 5, co. 6, sopra ricordato, che non contiene alcuna espressa enunciazione del principio di autoresponsabilità – forse peraltro ricavabile in via interpretativa dalle parole finali del comma che fa riferimento alla impossibilità dell’ex coniuge di procurarsi mezzi adeguati per ragioni oggettive – né soprattutto contempla la limitazione temporale dell’assegno enunciata nell’ordinamento tedesco8. 

Si è già accennato che la disposizione più volte richiamata dell’art. 5, co. 6, l. n. 898/1970 è stata oggetto di rilevanti revirement giurisprudenziali9. Secondo un orientamento mantenuto fermo per decenni, specie a seguito della modifica apportata all’art. 5, comma 6, dalla
l. n. 74/1987 che ne aveva accentuato il profilo assistenziale – di recente abbandonato dal- le Sezioni unite della Cassazione – il presupposto fondamentale per l’erogazione dell’asse- gno era costituito dallo squilibrio reddituale tra gli ex coniugi, per effetto del quale uno di essi si trovasse privo di mezzi adeguati a conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Pertanto, anche in presenza di autosufficienza, l’ex coniuge, a fronte dell’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle proprie condizioni economi- che, maturava il diritto a conseguire un assegno che, in via di massima, gli consentisse di ripristinarle, in modo da ristabilire un equilibrio. In particolare, il livello di vita coniugale che veniva in considerazione quale termine di riferimento dell’adeguatezza dei mezzi pre- dicata dall’art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, poteva riferirsi, in determinati casi, non soltanto al tenore che i coniugi avevano concretamente mantenuto nel corso del matrimonio, ma anche a quello che avrebbero potuto condurre in base alle loro potenzialità economiche. Si osservi che il criterio del tenore di vita appare nella sostanza richiamato dal § 1578 BGB, che parametra la misura del mantenimento alle ehelichen Lebensverhältnissen10. 

Nel determinare il tenore di vita coniugale il giudice era chiamato a considerare quel- lo goduto al momento della cessazione della convivenza e a compararlo con quello del richiedente dopo la pronuncia di divorzio11. Eventuali successivi miglioramenti della situazione reddituale del coniuge tenuto ad erogare l’assegno assumevano rilevanza – ai fini della revisione di cui all’art. 9 l. n. 898/1970 – solo se conseguenti a sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta e/o del tipo di qualificazione professionale e/o della col- locazione sociale dell’onerato; non potevano invece assumere rilievo i miglioramenti che fossero scaturiti da eventi autonomi, non collegati alla situazione di fatto ed alle aspettative maturate nel corso del matrimonio. 

Per determinare la concreta entità dell’assegno, il giudice – individuato l’importo necessario per mantenere il precedente tenore di vita – procedeva ad applicare i criteri indicati nell’art. 5, l. n. 898/1970, che potevano condurre ad una riduzione del tetto massimo dell’assegno stesso, se non addirittura, in ipotesi estreme, all’azzeramento. Detti elementi operavano come soli fattori di moderazione e diminuzione della somma massima di cui sopra, ma non potevano giustificare l’attribuzione di un assegno superiore all’importo necessario per mantenere il tenore goduto in costanza di matrimonio12. 

L’orientamento tradizionale aveva anche specificamente chiarito la portata dei criteri indicati all’art. 5l. div., fornendo indicazioni interpretative che tuttora, nonostante i recenti mutamenti della giurisprudenza di legittimità di cui si dirà a breve, conservano utilità. Le «ragioni della decisione» si risolvono nelle cause che hanno portato allo scioglimento del vincolo coniugale e, dunque, nelle eventuali responsabilità accertate a carico dell’uno o dell’altro coniuge; sotto tale profilo, potrà trovare tutela il coniuge a cui non sia ascrivibile il fallimento del matrimonio, ad esempio colui che ha ottenuto la pronuncia di separazione con addebito. L’indagine peraltro riguarda l’intero periodo della vita coniugale e si risolve in una valutazione che attiene non soltanto alle cause determinative della separazione, ma anche al successivo comportamento dei coniugi che abbia costituito un impedimento al ripristino del consorzio familiare. 

La previsione del criterio delle ragioni della decisione pone un problema di coordina- mento con la norma secondo la quale il coniuge al quale viene addebitata la separazione perde il diritto all’assegno di mantenimento (art. 156 c.c.). Sotto questo profilo – fermo re- stando che gli effetti dell’addebito non si trasferiscono automaticamente in sede divorzile – si è posto l’interrogativo se i comportamenti che conducono alla pronuncia di addebito ed alla conseguente perdita dell’assegno di mantenimento possano comunque riflettersi sulla determinazione dell’assegno di divorzio. Al riguardo, si ritiene che l’assegno di divorzio vada riconosciuto all’ex coniuge che non dispone di mezzi adeguati indipendentemente dal suo comportamento durante il matrimonio e dopo la separazione e, quindi, anche se gli sia stata in rilievo solamente al fine di diminuire l’ammontare dell’assegno, ma non ne determina necessariamente l’esclusione13. 

Quanto alle «condizioni dei coniugi», esse sottintendono non tanto le condizioni economiche, che risultano già essere state oggetto di accertamento ai fini dell’attribuzione dell’assegno, bensì quelle personali, vale a dire sociali e di salute – e, quindi, l’età, le consuetudini ed il sistema di vita dipendenti dal matrimonio, il contesto sociale ed ambientale –, sotto il profilo della loro influenza sulle capacità economiche e di guadagno per entrambi i coniugi. 

Il criterio del «contributo personale ed economico» dato alla conduzione familiare ed al- la formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune rileva, invece, sotto il profilo delle cure dedicate alla persona dell’altro coniuge, alla casa e ai figli, ma anche al lavoro domestico e, in generale, sotto il profilo economico; la considerazione del «reddito dei coniugi» postula, invece, una valutazione in merito ai redditi di entrambi i coniugi, com- prensivi dei redditi veri e propri e delle sostanze, cioè dei cespiti patrimoniali che sono comunque suscettibili di produrre reddito. 

L’ultimo criterio elencato dal legislatore è quello della durata del matrimonio che, secondo la giurisprudenza, assume il valore di parametro fondamentale, di filtro attraverso cui devono essere esaminati e considerati tutti gli altri criteri (per l’ordinamento tedesco si veda il § 1579). Detto criterio appare di notevole rilevanza, in quanto consente al giudice di trattare in maniera differenziata – a parità di altre condizioni – i rapporti matrimoniali di breve durata rispetto a quelli che hanno accompagnato la vita dei coniugi. Nel primo caso – come si è visto – si giustificano infatti decisioni tese a ridurre o ad eliminare l’assegno, che apparirebbero del tutto inique in presenza della rottura di un matrimonio di lunga data. 

addebitata la separazione; detta circostanza, in sede di divorzio, può venire 

3. La recente evoluzione giurisprudenziale. 

Come si è anticipato, il consolidato orientamento che parametrava l’adeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente alla conservazione del tenore di vita matrimoniale è stato recentemente abbandonato dalla Corte di cassazione14. Una sentenza della Prima Sezione della Corte, pronunciata nel maggio 201715 e seguita da altre pronunce, valorizzando il principio dell’autoresponsabilità, aveva limitato il riconoscimento del diritto a percepire l’assegno divorzile alle sole ipotesi nelle quali il richiedente versasse in una condizione di non autosufficienza economica, così abbandonando la consolidata lettura interpretativa secondo la quale la spettanza e la quantificazione dell’assegno divorzile dovevano essere determinate in funzione del parametro del tenore di vita coniugale. La decisione – coerente con i principi enunciati dai §§ 1569 e ss. BGB – ha segnato un forte momento di discontinuità rispetto al precedente consolidato orientamento, che pure la stessa Corte costituzionale nel 2014 aveva avallato. Il repentino revirement della Cassazione, che nello spazio di pochi mesi aveva trovato seguito in successive decisioni di legittimità e di merito16, aveva dunque inteso abbandonare il parametro del tenore di vita coniugale quale criterio di attribuzione e di determinazione dell’assegno divorzile e valorizzare il principio dell’autoresponsabilità del richiedente. Questo indirizzo conduceva a riconoscere il diritto a percepire l’assegno divorzile soltanto all’ex coniuge che non fosse economicamente autosufficiente, sostanzialmente attribuendogli una funzione di natura alimentare. 

Sebbene un simile approdo interpretativo risultasse funzionale all’esigenza di limitare la persistenza di vincoli di solidarietà economica in considerazione della estinzione dello stato di coniugio, specie con riferimento ai matrimoni di breve durata, la sua estensione generalizzata aveva sollevato critiche e perplessità, soprattutto laddove sussistessero esigenze di compensare adeguatamente il coniuge che avesse irreversibilmente compro- messo le proprie capacità di reddito per essersi dedicato, d’accordo con l’altro, all’attività domestica e alla cura della famiglia o che fosse chiamato a farlo in qualità di genitore prevalente successivamente alla crisi coniugale17. Ulteriori profili di perplessità erano statimanifestati rilevandosi come, una volta assunto il criterio dell’insussistenza di indipendenza economica quale solo presupposto per il riconoscimento dell’assegno divorzile, non trovassero in concreto applicazione i criteri previsti dall’art. 5 (durata del matrimonio, età e condizioni dei coniugi, contributo fornito da ciascuno di essi al ménage familiare, ecc.) al fine di quantificare l’importo dell’assegno divorzile. 

Per evidenziare l’insufficienza della prospettiva aperta dalla Cassazione nel 2017, occorre considerare che, a seguito della crisi e dello scioglimento del matrimonio, può accadere che un ex coniuge – normalmente la donna – si trovi sensibilmente impoverito non aven- do un reddito adeguato a mantenere, nel suo complesso, il tenore di vita matrimoniale, né essendo capace di produrlo, spesso in dipendenza di scelte effettuate durante la vita coniugale di intesa con l’altro. In questo contesto può dirsi che la crisi matrimoniale pesi in modo differente tra gli sposi; ciò pone il problema di garantire, proprio all’atto della cessazione del rapporto, una effettiva parità tra loro. Pare infatti evidente che il principio d’eguaglianza affermato dall’art. 29 Cost. esiga necessariamente che i coniugi escano dal matrimonio in condizioni patrimoniali e reddituali equilibrate e coerenti con le loro comuni scelte di vita, tenuto conto delle capacità – anche potenziali – rispettivamente godute all’inizio del rapporto18. 

Si tratta in definitiva di remunerare l’impegno che un coniuge abbia profuso nella vita matrimoniale, specie attraverso il lavoro di cura prestato in seno alla famiglia – ivi com- preso quello connesso alla gravidanza e all’allevamento dei figli –, in base agli accordi di indirizzo concordati con l’altro sposo, eventualmente con sacrificio delle aspettative professionali e reddituali in funzione del ruolo trainante endofamiliare19. Ciò onde evitare ingiusti squilibri tra gli ex coniugi e affinché ciascuno di essi lasci il matrimonio in condizioni di eguaglianza economica20. 

L’esperienza comparatistica evidenzia che in ogni sistema nel quale il legislatore – consapevole della distribuzione asimmetrica dell’impegno domestico – voglia garantire la parità tra i coniugi e compensare la situazione di debolezza in cui viene a trovarsi chi ha investito le proprie energie nella cura della famiglia sia decisiva non solo la presenza di norme che enuncino e garantiscano la parità nella fase fisiologica del rapporto, ma anche – e soprattutto – di strumenti capaci di far sì che, come efficacemente sintetizzato in una pronuncia inglese, «each party would […] leave the marriage on terms of financial equality»21. Come è stato messo in rilievo, se così non fosse, si giungerebbe ad un risultato paradossale, visto che il coniuge debole godrebbe di tutela nella fase fisiologica, quando la convivenza la rende superflua, mentre ne resterebbe privo al momento della rottura, proprio quando si manifestano gli eventuali effetti negativi conseguenti alla dedizione alla famiglia22. 

A ben vedere, nell’ordinamento italiano la possibilità di un riequilibrio patrimoniale al momento della rottura del matrimonio è fortemente compromessa dalla derogabilità del regime legale della comunione dei beni – che è in concreto assai utilizzata23 –; ciò induce ad affermare che l’assegno di mantenimento e l’assegno di divorzio costituiscono gli unici strumenti a cui affidare inderogabilmente l’attuazione del principio secondo cui i coniugi devono lasciare il matrimonio in posizione di eguaglianza. 

Proprio muovendo da queste premesse si è avanzata in dottrina la tesi che attribuisce all’assegno di mantenimento ed all’assegno post-matrimoniale una funzione assistenziale- perequativa24. In particolare si è osservato che l’affermazione della natura eminentemente assistenziale degli assegni – che ne condiziona la corresponsione alla incapacità del richiedente di procurarsi mezzi adeguati – non sia inconciliabile con la loro funzione perequativa, che si risolve nella finalità di perseguire un tendenziale riequilibrio dei redditi ed eliminare, o quantomeno limitare, le più aspre disuguaglianze. Una simile ricostruzione, in effetti, è in linea con l’idea per cui in un sistema che enuncia il principio della parità tra i coniugi e della eguale valenza del lavoro casalingo ed extradomestico (art. 143 c.c.) non è ammissibile che la rottura del matrimonio abbia sui coniugi un diverso impatto, che si risolva nell’arricchimento di uno e in un pregiudizio per l’altro La configurazione dell’assegno con finalità perequativa si attaglia anzitutto a quei matrimoni nei quali, dopo molti anni di convivenza, si riscontra un forte squilibrio tra la situazione patrimoniale e reddituale di colui che abbia svolto un lavoro extradomestico e di chi, invece, si sia dedicato in prevalenza alla famiglia. 

Il problema di realizzare un’equilibrata divisione delle ricchezze della famiglia tra il coniuge che si dedica maggiormente all’attività extradomestica e quello che si fa prevalente carico della cura dei figli si pone anche con riferimento alle ipotesi in cui al momento della rottura del matrimonio siano presenti figli minori o maggiorenni non autosufficienti. In questo caso, infatti, permangono esigenze di organizzare la vita comune della famiglia nonostante la dissoluzione della coppia che le ha dato origine. In particolare, occorre tenere conto che la divisione dei ruoli – che secondo quanto emerge dagli studi statistici risulta ancora marcata nelle famiglie unite – si accentua quando, a seguito della separazione e del divorzio, uno dei partner – generalmente la donna – assume il ruolo di «geni- tore prevalente»25. Questa prospettiva sembra aver trovato una significativa conferma nelle pronunce di legittimità che, nel riconoscere alla parte debole l’assegno di mantenimento o l’assegno divorzile, hanno sottolineato la fondamentale importanza rivestita dall’assunzione degli obblighi di cura dei figli e le conseguenti ricadute negative in termini di «espansione della capacità lavorativa». 

Sulla scia di consimili considerazioni, le Sezioni unite della Cassazione hanno recentemente rivisto in radice entrambi gli orientamenti giurisprudenziali, che finalizzavano l’assegno di divorzio l’uno alla conservazione del tenore di vita matrimoniale; l’altro alla mera somministrazione di quanto necessario al mantenimento dell’ex coniuge26. Da un la- to, la Cassazione ha ribadito la funzione assistenziale dell’assegno di divorzio, precisando tuttavia che essa debba tener conto di un criterio perequativo- compensativo che discende direttamente dal principio costituzionale di solidarietà, cosicché l’indispensabile accerta- mento dell’inadeguatezza dei mezzi di cui dispone il coniuge richiedente o comunque l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, va effettuato attraverso l’applicazione equiordinata di tutti i criteri di cui alla prima parte dell’art. 5, comma 6, l. div. In presenza di sperequazione reddituale tra gli ex coniugi è dovuto l’assegno in favore di quello debole, il cui importo, partendo dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei due ex coniugi, deve tener conto non soltanto del raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da garantire l’autosufficienza secondo un parametro astratto, ma, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare valorizzando le aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell’età del ri- chiedente. In altri termini, la statuizione della Corte si fonda sui seguenti presupposti: 1) i coniugi hanno identici doveri di contribuzione alle necessità familiari (art. 143 c.c.); 2) eventuali accordi di indirizzo concordati tra loro ex art. 144 c.c. che abbiano comportato una diversa distribuzione e un difforme adempimento dei compiti familiari si riflettono sulla formazione del patrimonio comune e di quello personale dell’altro coniuge; 3) se ciò abbia provocato sperequazioni dei redditi dei coniugi, l’adeguatezza dei mezzi deve essere valutata non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva – come predicato dalla sentenza della Prima Sezione del 2017 – ma anche in relazione al con- tributo prestato alla vita familiare. In definitiva, la funzione riequilibrativa dell’assegno non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale – come voleva l’orientamento giurisprudenziale formatosi dopo il 1990 e rimasto fermo fino al 2017 – né al sostentamento dell’ex coniuge non autosufficiente, ma piuttosto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole durante la vita matrimoniale, sempre in relazione alla durata del matrimonio e dell’età dell’avente diritto. In concreto, il giudice è chiamato all’arduo compito di riequilibrare le condizioni economico- patrimoniali degli ex coniugi, attribuendo a quello più debole una quota del red- dito dell’altro, tale da far sì che essi escano dal matrimonio in condizioni di equilibrio. Il che vale a dire che, indipendentemente dalla natura e dalla reddittività dei compiti svolti durante la vita matrimoniale da ciascuno dei coniugi, in relazione alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo e dei relativi accordi, l’ex coniuge economicamente svantaggiato ha diritto di ricevere una porzione del reddito dell’altro che gli consenta, dopo il divorzio, di vivere in condizioni analoghe. 

4. Conclusioni. 

Mettendo a confronto la disciplina tedesca con quella italiana, a tutta prima emergono dunque sensibili differenze – che riflettono diverse condizioni socioeconomiche, a loro volta caratterizzate da una diversa distribuzione del lavoro nella famiglia e da una diversa posizione della donna – che evidenziano la distinta funzione cui è chiamata la famiglia in presenza di diversi livelli del welfare pubblico. 

Nel sistema tedesco l’assegno di mantenimento assolve una spiccata funzione assistenziale ed è suscettibile di limitazione temporale27, mentre in quello italiano l’accento è ora sulla funzione perequativo compensatoria a vantaggio del coniuge che dedicandosi maggiormente alla famiglia ha rinunciato alle proprie chances professionali. 

Ad avviso di chi scrive, il giudice italiano, proprio ispirandosi ai principi di autoresponsabilità e di limitazione temporale del mantenimento enunciati dall’ordinamento tedesco, potrebbe, rileggendo il dato normativo nazionale, applicare, in fattispecie determinate, regole consimili. La formula usata dal legislatore italiano è infatti talmente ampia ed elastica, come si è visto dalle molteplici interpretazioni giurisprudenziali via via susseguitesi nel corso dei decenni, da permettere anche di conseguire una tale armonizzazione tra i due ordinamenti. 

Anche l’ostacolo che appare più difficoltoso da superare, cioè quello della temporanei- tà dell’assegno contemplata dal § 1578 b BGB, a ben vedere, può essere vinto. Infatti, co- me espressamente statuito dalle citate Sezioni Unite, “la sostanziale assenza di preclusioni, salvo l’allegazione di mutamenti di fatto, nel procedimento di revisione rende reversibile e modificabile sine die la determinazione originaria in ordine all’assegno di divorzio, escludendo anche sotto tale profilo, i rischi della c.d. cripto indissolubilità”28. Secondo le Sezioni Unite, in particolare, ciò che non pare potersi legittimamente trascurare è l’intrinseca por- tata rebus sic stantibus delle statuizioni inerenti all’assegno di divorzio, in forza della quale l’ex coniuge mantiene integro il diritto di sottoporre a revisione le condizioni in origine stabilite al sopravvenire di mutamenti che alterino i presupposti sui quali le stesse erano state fondate, chiedendo all’autorità giudiziaria di intervenire laddove la statuizione possa provocare alla parte un indebito pregiudizio e di evitare così il crearsi di una irragionevole disparità di trattamento tra identiche situazioni29. Come chiarito dalla citata sentenza, infatti, “la comparazione con alcuni ordinamenti europei (in particolare quello francese e tedesco) evidenzia, in particolare, la natura specificamente perequativo-compensativa attribuita all’assegno di divorzio correlata alla previsione della temporaneità dell’obbligo in quanto prevalentemente finalizzato a colmare la disparità economico patrimoniale determinatasi con lo scioglimento del vincolo”: rispetto a tale quadro, nel nostro ordinamento “la mancanza di temporaneità trova puntuale correttivo nel meccanismo legislativo della revisione delle condizioni della sentenza di divorzio in presenza di fatti sopravvenuti”, la cui “sostanziale assenza di preclusioni” – per l’appunto – “rende reversibile e modificabile sine die la determinazione originaria in ordine all’assegno di divorzio, escludendo anche sotto tale profilo, i rischi della c.d. cripto indissolubilità”. 

Il passo sopra richiamato rappresenta la migliore testimonianza dell’attenzione che la Suprema Corte italiana riserva agli ordinamenti stranieri più vicini al nostro, onde attuare forme di armonizzazione tra gli stessi; compito della dottrina è dunque quello di appron- tare sudi e ricerche che possano agevolare il raggiungimento di un consimile obiettivo. 

NOTE

Il saggio è destinato al Liber amicorum per Angelo Davì e riproduce, con l’aggiunta di ampliamenti e integrazioni, la relazione svolta al Convegno L’assegno di divorzio: un confronto tra Italia e Germania, organizzato da EFL (European Association for Family and Succession Law) dedicato alla memoria di Maria Giovanna Cubeddu, tenutosi nella Università di Regensburg il 9 e 10 novembre 2018. 

1 Per una disamina della disposizione, anche con riferimento ai lavori preparatori, sia consentito un rinvio a M. SeSta, Commento sub art. 29 Cost., in Codice della famiglia, a cura di Sesta, III ed., Milano, 2015, 81 ss. 

2  Si v. in argomento M. SeSta, L’istituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso e la disciplina delle convivenze, in Fam. dir., 2016, 881 ss.; M. SeSta (a cura di), Codice dell’unione civile e delle convivenze, Milano, 2017, passim.

3  V. amplius M. SeSta, voce Filiazione, in Enc. dir., Milano, 2015, 447 e 450.

4 Dall’ultimo Rapporto Istat sulla popolazione residente per stato civile emerge un numero di divorziati in Italia, al 2017, pari a 1 milione e 672mila, cifra quadruplicata rispetto al 1991 (quando se ne contavano 376mila). 

5 Cfr. sin d’ora il numero monografico (n. 11) di Fam. dir., 2018, 955-1057, ove i contributi di numerosi Autori.
6 Perunadisaminadelquadronormativotedesco,cfr.H.J.DoSe,(Herausgegeben von),Das Unterhaltsrecht in der familienrichterlichen Praxis, 9, München, 2015, 1042 ss.; W. Born, Allzweckwaffe oder Papiertiger? – Ehebedingter Nachteil und nacheheliche Solidarität bei Beschränkung des Unterhaltsanspruchs, in N. J. W., 2018, 497 ss.; M.G. CuBeDDu, Lo scioglimento del matrimonio e la riforma del mantenimento tra ex coniugi in Germania, in questa Rivista, 2008, 23 ss.; S. Patti, M.G. CuBeDDu, Introduzione al diritto della 

famiglia in Europa, Milano, 2008, 291 ss. 

7 Siv.M.G.CuBeDDu,LoscioglimentodelmatrimonioelariformadelmantenimentotraexconiugiinGermania,cit.,28;siv.amplius S. Patti, M.G. CuBeDDu, Introduzione al diritto della famiglia in Europa, cit., 297 ss. 

8 M.G. CuBeDDu, Lo scioglimento del matrimonio e la riforma del mantenimento tra ex coniugi in Germania, cit., 29.
9 C. riMini, La crisi della famiglia, II, Il nuovo divorzio, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. Cicu, F. Messineo, 

L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, Milano, 2015, 105 ss.; C. riMini, Il nuovo assegno di divorzio: la funzione compensativa e 

perequativa, in Giur. it., 2018, 1853 s., nota a Cass., SS.UU., 11 luglio 2018, n. 18287.
10 M.G. CuBeDDu, op. ult. cit., 30; e. QuaDri, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: 

“persone singole” senza passato?, in Corr. giur., 2017, 897.
11 Un’attenta ricostruzione della disciplina è rinvenibile in C. riMini, La crisi della famiglia, II, Il nuovo divorzio, in Trattato di diritto 

civile e commerciale, già diretto da A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, cit., 105 ss.; a. arCeri, sub art. 5, legge 1 dicembre 1970, n. 898, in Codice della famiglia, a cura di M. Sesta, Milano, 2015, 2756 ss.; G. Bonilini, a. natale, L’assegno post-matrimoniale, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da G. Bonilini, III, La separazione personale dei coniugi. Il divorzio. La rottura della convivenza, Milano, 2016, 2871 ss., in part. 2897. 

12 C. riMini, La crisi della famiglia, cit., 119; e. al MureDen, Assegno divorzile, parametro del tenore di vita coniugale e principio di autoresponsabilità, in Fam. dir., 2015, 540, nota a Trib. Firenze 22 maggio 2013; iD., La crisi della famiglia, I, La separazione personale dei coniugi, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, Milano, 2015, 303. 

13 Cfr. da ultimo C. riMini, Il nuovo assegno di divorzio: la funzione compensativa e perequativa, cit., 1858.
14 Da ultimo, la materia è stata trattata ex novo da Cass., Sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287, in Corr giur., 2018, 1186, con nota di S. Patti, Assegno di divorzio: il “passo indietro” delle Sezioni Unite; in Giur. it., 2018, 1843, con nota di C. riMini, Il nuovo assegno di divorzio: la funzione compensativa e perequativa, in Foro it., 2018, I, 2671, con nota di M. BianCa, Le sezioni unite e i corsi e ricorsi giuridici in tema di assegno divorzile: una storia compiuta? Si v., in argomento, e. QuaDri, “C’è qualcosa di nuovo oggi” nell’assegno di divorzio, “anzi d’antico”, in Nuova giur. civ. comm., 2018, 1714 ss.; e. QuaDri, Il superamento della distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell’assegno di divorzio, in Fam. dir., 2018, 971 ss.; M. SeSta, Attribuzione e determinazione dell’assegno divorzile: la rilevanza delle scelte di indirizzo della vita familiare, in Fam. dir., 2018, 983 ss.; e. al MureDen, L’assegno divorzile e l’assegno 

di mantenimento dopo la decisione delle Sezioni Unite, in Fam. dir., 2018, 1019 ss. Sul versante processuale, cfr. F. Danovi, Oneri 

probatori e strumenti di indagine: doveri delle parti e poteri del giudice, in Fam. dir., 2018, 1007 ss.; F. toMMaSeo, La decisione delle 

Sezioni Unite e la revisione ex art. 9 l. div. dell’assegno postmatrimoniale, in Fam. dir., 1050 ss.
15 Cass. 10 maggio 2017, n. 11504, in Corr. guir., 2017, 897, con nota di e. QuaDri, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione 

del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?, in Foro It., 2017, 2707, con nota di S. Patti, Assegno di divorzio:unpassoversol’Europa?ediM.BianCa,IlNuovoorientamentointemadiassegnodivorzile.Unastoriaincompiuta?,inFam. dir., 2017, 642 ss., con nota di e. al MureDen, L’assegno divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale e di F. Danovi, Assegno di divorzio e irrilevanza del tenore di vita matrimoniale: il valore del precedente per i giudizi futuri e l’impatto sui divorzi già definiti; in Giur. it., 2017, 1799 ss., con nota di C. riMini, Assegno di mantenimento e assegno divorzile: l’agonia del fenomeno assistenziale; iD., Verso una nuova stagione per l’assegno divorzile dopo il crepuscolo del fenomeno assistenziale, in Nuova Giur. civ. comm., 2017, 1274 ss. Si v. anche M. Fortino, Il divorzio, l’“autoresponsabilità” dei coniugi e il nuovo volto della donna e della famiglia, in Nuova Giur. civ. comm., 2017, 1254 ss.; M. SeSta, La solidarietà post-coniugale tra funzione assistenziale ed esigenze compensatorie, in Fam. dir., 2018, 516, ove si esprimeva l’auspicio che dal dibattito seguito alla sentenza della Prima sezione potesse “nascere – con il contributo di tutti, giudici, studiosi, avvocati e, soprattutto il legislatore – un più ragionevole ed equo assetto dei rapporti patrimoniali seguenti alla crisi del matrimonio, in linea con i precetti costituzionali e con il nuovo stato giuridico del vincolo coniugale”. 

16 Trib. Milano 22 maggio 2017; Trib. Mantova 16 maggio 2017; Trib. Bologna 12 giugno 2017 citate da e. al MureDen, L’assegno divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale, cit., 643, nota 4; Trib. Palermo 12 maggio 2017 in banca dati Pluris; Trib. Venezia 25 maggio 2017, in banca dati Pluris; App. Salerno 26 giugno 2017, in banca dati DeJure

17 e. QuaDri, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?, cit., 895 s.; M. SeSta, La solidarietà post- coniugale tra funzione assistenziale ed esigenze compensatorie, cit., 513. 

18 In argomento M. SeSta, La solidarietà post-coniugale tra funzione assistenziale ed esigenze compensative, in Fam. dir., 2018, 514, ove è prospettato altresì un possibile contrasto con gli articoli 2, 3, 30, 31 e 37 Cost. 

19 e. QuaDri, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?, cit., 898; C. riMini, Assegno di mantenimento e assegno divorzile: l’agonia del fenomeno assistenziale, cit., 1803. 

20 In proposito, v. e. al MureDen, Nuove prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dell’assegno divorzio e famiglia destrutturata, Milano, 2007, 243; iD., Crisi del matrimonio, famiglia destrutturata e perduranti esigenze di perequazione tra i coniugi, in Fam. dir., 2007, 233. 

21 Il principio, testualmente enunciato nella decisione Norris v. Norris, Family Division, (2002) EWHC 2996 (Fam), è stato costantemente seguito dalla giurisprudenza inglese. A riguardo, cfr. e. al MureDen, Conseguenze patrimoniali del divorzio e parità tra coniugi nelle 

leading decisions inglesi: verso una nuova valenza dell’istituto matrimoniale?, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 211 ss.; iD., L’assegno 

divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale, cit., 646.
22 e. al MureDen, L’assegno divorzile e l’assegno di mantenimento dopo la decisione delle Sezioni Unite, cit., 1021 s.
23 Dalla più recente rilevazione ISTAT emerge come nel 2017, su 191.287 matrimoni celebrati, 138.123 coppie abbiano optato per il 

regime della separazione dei beni: http://demo.istat.it/altridati/matrimoni/2017/tav2_10.pdf.
24 Siv.e.QuaDri,Iconiugiel’assegnodidivorziotraconservazionedel“tenoredivita”e“autoresponsabilità”:“personesingole”senza 

passato?, cit., 885; M. SeSta, La solidarietà post- coniugale tra funzione assistenziale ed esigenze compensatorie, cit., 514; C. riMini, La tutela del coniuge più debole fra logiche assistenziali ed esigenze compensative, in Fam. dir., 2008, 427; e. al MureDen, La crisi della famiglia, cit., 485 s. 

25 e. al MureDen, L’assegno divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale, cit., 642 ss.; iD., Nuove prospettive di tutela del coniuge debole. Funzione perequativa dell’assegno divorzile e famiglia destrutturata, cit., 223 ss. Nell’ambito della giurisprudenza di merito formatasi successivamente al revirement inaugurato da Cass. 10 maggio 2017, n. 11504 appare significativa la motivazione di Trib. Arezzo 5 luglio 2017, inedita. Per una fattispecie di particolare rilevanza cfr. Cass. 16 maggio 2017, n. 12196; App. Milano 16 novembre 2017, n. 4793, in Fam. dir., 2018, 322 ss., con nota di e. al MureDen, Berlusconi v. Lario: autosufficienza e tenore di vita coniugale in un big money case italiano

26 Cass., SS.UU., 11 luglio 2018, n. 18287, cit., supra nota 14. 

27 S. Patti, Assegno di divorzio: il “passo indietro” delle Sezioni Unite, cit., 1201. 

28 Cfr. SS.UU., sentenza n. 18287/18 cit.
29 In argomento, ma con specifico riguardo all’esigenza di tutela del coniuge debole fatte valere in sede di revisione dell’assegno, cfr. 

F. toMMaSeo, La decisione delle Sezioni Unite e la revisione ex art. 9 l. div. dell’assegno postmatrimoniale, cit., 1053 s. 

Competenze

Postato il

23 Giugno 2021

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