Michele Sesta, Adozione consensuale estera e ordine pubblico: una decisione che non persuade, IN Famiglia e diritto, 2021, PP. 992-1017

ABSTRACT: Rispondendo al secondo quesito sollevato dall’ordinanza interlocutoria, le Sezioni Unite (sentenza n. 9006-2021) riconoscono la compatibilità rispetto all’ordine pubblico internazionale di un’adozione straniera consensuale, disposta cioè sulla scorta del mero consenso dei genitori biologici, nella specie regolata dalla legge dello Stato di New York. Ad avviso dell’Autore, come è stato ben lumeggiato dalla memoria della Procura Generale, una consimile statuizione suscita notevoli perplessità, non solo perché può prestarsi ad abusi, ma soprattutto perché conferisce riconoscimento ad un modello di adozione che prescinde dall’effettiva sussistenza dello stato di abbandono del minore.

L’adozione con elementi di estraneità: adozione straniera e adozione internazionale.

Come è stato chiarito nei commenti che precedono, la fattispecie sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite origina dalla richiesta indirizzata all’Ufficiale dello stato civile di S. da parte di un soggetto, cittadino italiano naturalizzato statunitense e residente negli USA, di trascrivere l’atto di nascita di un minore nato negli USA e ivi adottato dal ricorrente e dal di lui coniuge, cittadino statunitense, in forza di un provvedimento giurisdizionale. Al riguardo la Cassazione riferisce che il provvedimento in questione attribuiva lo status di genitore adottivo al ricorrente ed al suo partner, successivamente sposato, dando atto che l’adozione era stata pronunciata con il consenso preventivo dei genitori biologici e dopo un’indagine effettuata sugli adottanti da un’agenzia pubblica equiparata ai servizi sociali. L’Ufficiale dello stato civile ha rifiutato la trascrizione, ritenendo applicabile alla fattispecie l’art. 36, comma 4, L. n. 183/1984. Il ricorrente ha quindi adito la Corte d’Appello di Milano ai sensi della L. n. 218/1995, al fine di ottenere il riconoscimento del predetto provvedimento estero. La Corte d’Appello, ritenuta inapplicabile la disciplina dell’adozione internazionale, ha affermato la propria competenza ai sensi dell’art. 41, comma 1, L. n. 218/1995, secondo il quale i provvedimenti stranieri in materia di adozione sono riconoscibili ex artt. 64-66, L. n. 218/1995. Nel merito, la Corte ha accertato che il giudice newyorchese aveva valutato l’idoneità della coppia adottante all’esito di un’indagine eseguita attraverso i servizi sociali, successivamente acquisito il consenso preventivo dei genitori biologici e quindi emesso l’adoption order, ritenendo espressamente che il provvedimento fosse conforme ai best interests of the child. La Corte territoriale ha quindi proceduto alla verifica di eventuali profili di contrarietà all’ordine pubblico internazionale del provvedimento estero. A quanto si desume dallo svolgimento del processo riferito dalle Sezioni Unite, l’indagine della Corte d’Appello si è incentrata sul tema della natura omoaffettiva della coppia genitoriale, giungendo alla conclusione che essa non poteva impedire il riconoscimento in Italia dello stato acquisito dal minore all’estero.

Sulla base di tali premesse, la Prima Sezione civile con l’ordinanza interlocutoria Cass. Civ. n. 29071/2019[1] aveva rimesso alle Sezioni Unite due distinti quesiti: il primo, di cui ampiamente si è scritto nei commenti che precedono, è se sia compatibile con l’ordine pubblico conferire efficacia ad un’adozione estera in favore di persone dello stesso sesso; il secondo, sul quale esclusivamente in questa sede ci si vuole brevemente soffermare, è se il giudizio di compatibilità con l’ordine pubblico debba o meno scrutinare la valutazione del giudice estero relativa all’adottabilità del minore di cui trattasi. Come meglio chiarisce la sentenza a pagina 17, capoverso 20, dal momento che l’adozione estera era stata pronunciata dopo aver acquisito il consenso dei genitori biologici, si trattava di approfondire se l’adozione consensuale, ignota al nostro ordinamento, possa trovarvi cittadinanza, in virtù della delibazione di un provvedimento estero che la contempli, o se invece l’ordine pubblico costituisca ostacolo insormontabile al suo ingresso[2].

Detto giudizio di compatibilità, così come del resto quello riferito al tema della coppia omogenitoriale, è stato effettuato dalle Sezioni Unite dopo aver statuito circa il regime giuridico applicabile alla fattispecie, individuato nell’art. 41, comma 1, L. n. 218/1995, alla cui stregua “i provvedimenti stranieri in materia di adozione sono riconoscibili in Italia ai sensi degli articoli 64, 65 e 66”. Si osservi che il comma 2 della disposizione aggiunge che “Restano ferme le disposizioni delle leggi speciali in materia di adozione dei minori”, cioè quelle contenute nella L. 4 maggio 1983, n. 184. Dall’art. 41 risultano pertanto regolati due distinti procedimenti riguardanti adozioni caratterizzate da elementi di estraneità: l’uno relativo al riconoscimento della decisione formatasi all’estero; l’altro relativo alla vera e propria adozione internazionale, come è stato chiarito da ultimo da Corte cost. n. 76/2016[3], citata nella motivazione delle Sezioni Unite.

Ciò detto, il raccordo tra i due istituti e la delimitazione delle rispettive sfere costituiscono un’operazione complessa e delicata. In linea generale, l’adozione internazionale governa quelle adozioni in cui i genitori adottivi, a prescindere dalla cittadinanza, risiedono in Italia e il minore adottato proviene dall’estero, dovendoli raggiungere nel territorio nazionale[4]. Per esclusione, il riconoscimento dell’adozione straniera si rivolge a un provvedimento formatosi all’estero che coinvolga genitori adottivi colà residenti e minori stranieri, al fine di consentirne la produzione di effetti anche nell’ordinamento interno[5].

Più analiticamente, è stato rilevato come le fattispecie di adozioni estere, riconoscibili ex art. 41, comma 1, L. n. 218/1995, si riducano a: “1) quelle relative a provvedimenti di adozione di maggiorenni, italiani o stranieri; 2) quelle relative a provvedimenti di adozione all’estero di minori italiani; 3) quelle relative a provvedimenti di adozione all’estero di minori stranieri da parte di stranieri; 4) quelle relative a provvedimenti di adozione nei casi particolari contemplati dall’art. 44 della legge n. 184 del 1983”[6].

In questo contesto va menzionato altresì l’art. 36, comma 4, L. n. 184/1983, il quale dispone che “[l]’adozione pronunciata dalla competente autorità di un Paese straniero a istanza di cittadini italiani, che dimostrino al momento della pronuncia di aver soggiornato continuativamente nello stesso e di avervi avuto la residenza da almeno due anni, viene riconosciuta ad ogni effetto in Italia con provvedimento del tribunale per i minorenni, purché conforme ai principi della Convenzione”.

In prima battuta ci si interroga se siano compresi il caso in cui uno solo degli adottanti sia cittadino italiano e quello in cui lo stesso cittadino italiano abbia più cittadinanze. La dottrina riconduce tali ipotesi all’art. 41, comma 1,  L. n. 218/1995[7]. Ci si chiede poi se l’adozione contemplata dall’art. 36, comma 4, alluda a qualsiasi modello di adozione o se invece occorra un’adozione paragonabile al paradigma interno, dove gli adottanti sono uniti in matrimonio e il minore versa in stato di abbandono. La giurisprudenza si esprime nel secondo senso, restringendo ancora l’ambito della norma[8]. Al riguardo si è pronunciata la già ricordata Corte cost. n. 76/2016, richiamata come detto dalle Sezioni Unite. In quel caso l’adottante della minore straniera, figlia biologica della partner omosessuale, era a propria volta straniera al tempo dell’adozione: solamente dopo l’adozione era divenuta cittadina italiana e aveva domandato al Tribunale per i minorenni di Bologna il riconoscimento in Italia del provvedimento estero a mente dell’art. 36, comma 4, L. n. 184/1983. Il giudicante aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 35 s., L. n. 184/1983, dubitando che l’adozione omosessuale fosse compatibile con i principi dell’adozione domestica e che un simile assetto si conciliasse con il superiore interesse del minore. La Consulta ha dichiarato la questione inammissibile, poiché la fattispecie in esame era regolata dall’art. 41, comma 1, L. n. 218/1995, alla stregua del riconoscimento di un’adozione interamente straniera.

Tornando al caso in commento, deve rilevarsi che, in aderenza a detto orientamento, la Corte d’Appello di Milano, investita della questione dai genitori adottivi, aveva respinto l’interpretazione dell’art. 36, comma 4, data dall’Ufficiale di stato civile: il ricorrente risiedeva infatti da oltre un decennio nello Stato straniero e ne era diventato cittadino; il partner e il figlio adottivo avevano la cittadinanza dello stesso Paese, rientrando così nell’ambito dell’art. 41, comma 1, L. n. 218/1995, alla cui stregua il riconoscimento recepisce gli effetti di un provvedimento di adozione già integralmente perfezionato altrove, come detto, tra soggetti tutti stranieri. In ordine ai presupposti, l’art. 41, comma 1, rinvia integralmente a quanto disposto, in via generale, per l’efficacia delle sentenze e degli atti stranieri dagli artt. 64-66, L. n. 218/1995. L’art. 64 specifica le condizioni: che la decisione estera sia stata assunta da un giudice competente alla stregua di principi omogenei a quelli dell’ordinamento interno (lett. a), c.d. competenza internazionale); che il procedimento straniero si sia regolarmente instaurato (lett. b e c); che la decisione sia passata in giudicato secondo le regole di quell’ordinamento (lett. d) e non contrasti con un giudicato interno (lett. e); che non penda un procedimento interno anteriore tra le stesse parti e con lo stesso oggetto (lett. f); che gli effetti della sentenza da riconoscere non violino l’ordine pubblico (c.d. internazionale, lett. g [1] ). Le altre due disposizioni mostrano contenuti essenzialmente sovrapponibili.

Tra i requisiti previsti, il più significativo, nel caso di specie, corrisponde all’ordine pubblico internazionale: si tratta di valutare la compatibilità tra i valori irrinunciabili dell’ordinamento domestico[9] e gli effetti prodotti dalla sentenza di cui si chiede il riconoscimento[10].

Orbene, le Sezioni Unite hanno confermato la soluzione data dal giudice di merito[11], trattandosi nella specie di adozione di minore straniero da parte di genitori parimenti stranieri.

Adozioni consensuali, adozioni onerose e ordine pubblico internazionale.

Conseguentemente, come sopra si è anticipato, a chiusura della decisone in commento (par. 20), le Sezioni Unite analizzano la questione della compatibilità rispetto all’ordine pubblico del provvedimento estero recante l’adozione basata sul mero consenso prestato dai genitori biologici e sulla verifica delle attitudini della coppia adottante, condotta da un organo straniero equiparabile ai servizi sociali.

Detta adozione consensuale viene quindi sottoposta dalla Corte al controllo circa l’eventuale violazione dell’ordine pubblico internazionale, sul presupposto, invero in sé assai rilevante, che in sede di delibazione ex art. 41, comma 1, il Giudice debba procedere anche alla verifica della conformità delle condizioni di adottabilità poste a base del provvedimento estero di cui si chiede il riconoscimento ai principi dell’ordine pubblico internazionale. Precisa la Corte che “ove venga allegato dalle parti ed emerga con obiettività probatoria che la determinazione di privarsi del figlio minore da parte dei genitori biologici derivi da un intervento di carattere oneroso degli adottanti, o il consenso prestato sia la conseguenza di un accordo vietato e sanzionato penalmente nel nostro diritto interno perché incidente sui diritti inviolabili della persona, come l’accordo di surrogazione di minore, alla valutazione degli effetti ‘formali’ dell’atto, (la costituzione di status genitoriale adottivo, che pure incontra il favor legislativo interno per la genitorialità sociale) deve collegarsi quella sulle modalità di produzione degli effetti predetti”. Dunque, il giudice, in sede di verifica della conformità del provvedimento all’ordine pubblico internazionale, può, e anzi deve, rilevare, così come avviene per la surrogazione di maternità, se l’adozione in questione presenti modalità compatibili con l’ordine pubblico internazionale[12].

Nella specie si trattava quindi di stabilire se la specifica adozione consensuale disposta dal giudice newyorchese sulla base delle Sections 115-116, Title III, Art. 7, Chapter 14, Consolidated Laws of New York, potesse rendersi efficace in Italia. In generale, l’adozione consensuale si caratterizza per l’accordo tra la coppia dei genitori biologici del minore e la coppia degli aspiranti genitori adottivi, necessario per il perfezionarsi dell’adozione[13]. Il c.d. Private Placement di New York prevede che, in seguito alla richiesta degli aspiranti genitori adottivi (anche un singolo) e con l’assenso dei genitori biologici, venga condotta una indagine sugli stessi adottanti, all’esito della quale il giudice emette l’order of adoption, se ciò è confacente al superiore interesse del minore. Dalla lettura delle disposizioni, l’investigation è tutta focalizzata sulle condizioni degli adottanti e non risulta che la procedura implichi uno stato di abbandono in capo al minore da adottare[14]. Svariate disposizioni anzi presuppongono la capacità dei genitori biologici di prendersi cura del figlio[15]: sottinteso, l’abbandono del minore soggetto all’accordo di adozione non può costituire un requisito indefettibile. La condizione di abbandono del minore è trattata altrove, alle Sections 371 ss., Title I, Art. 6, Chapter 55, Consolidated Laws of New York, rispetto alle quali la sentenza delle SS.UU. non chiarisce l’attinenza al caso concreto (nel testo è presente un mero riferimento alla Social Services Law che appunto racchiude le Sections 371 ss.): a quanto è dato di capire il richiamo vale a impostare operativamente l’indagine ex Section 116, incentrata come detto sulla situazione degli adottanti[16].

La questione era stata ampiamente analizzata al par. 8 della citata memoria della Procura Generale, la quale ha rilevato che, pur non dovendosi entrare nel merito della sentenza straniera, occorre comunque considerare se il modello statunitense del Private Placement sia compatibile con il limite di ordine pubblico e se lo scrutinio di compatibilità debba includere anche la valutazione estera di adottabilità del minore, giungendo alla condivisibile conclusione che non possa essere recepito “all’interno del nostro ordinamento giuridico un modello adottivo nel quale si prescinda del tutto dal previo accertamento dello stato di abbandono, quale condizione di garanzia per il minore, e si proceda sulla base di un criterio puramente consensualistico-privatistico, che si desume dal mero consenso espresso da parte di genitori biologici, in assenza peraltro di dati significativi sulla procedura di adozione estera”.

Le Sezioni Unite, pur affermando “che non possa escludersi in astratto la comparazione delle condizioni di adottabilità poste a base del provvedimento estero di cui si chiede il riconoscimento con i principi di ordine pubblico internazionale”, tuttavia non procedono in concreto ad un simile esame. Ciò sul presupposto che le parti non avevano dato alcun rilievo, né nel merito, né nella prospettazione delle censure del ricorso, ai presupposti dell’adottabilità, così da doverne escludere l’effettivo scrutinio in sede di legittimità, “non potendosi confondere il limite costituito dall’ordine pubblico internazionale con la regolamentazione giuridica interna dell’adozione legittimante”. La Corte opina che, sotto il riguardo della contrarietà all’ordine pubblico internazionale, occorre che le parti la alleghino e la provino, non essendo dato derivarla dalla mera constatazione della diversità tra la disciplina estera e quella interna.

In definitiva, la Corte sembra dire che nell’ambito della comparazione tra le condizioni di adottabilità poste a base del provvedimento estero con i principi di ordine pubblico internazionale, non sia sufficiente il rilievo che l’adozione sia stata pronunciata su base volontaria, dovendo emergere, al fine di negare la delibazione – in quanto allegato dalle parti ed adeguatamente comprovato -, il carattere oneroso dell’adozione o il ricorso alla maternità surrogata.

Ad avviso di chi scrive la statuizione non appare condivisibile perché la Corte bene avrebbe potuto negare l’ingresso al provvedimento, nella specie risultando per tabulas trattarsi di un’adozione basata esclusivamente sul consenso e senza alcun previo accertamento sull’adottabilità del minore. Tra l’altro, come persuasivamente osservato dalla Procura generale, il riconoscimento di un consimile istituto potrà “divenire lo strumento indiretto per far penetrare all’interno del nostro ordinamento giuridico la pratica della maternità surrogata”. È vero che non può confondersi il limite dell’ordine pubblico con la regolamentazione giudica interna dell’adozione legittimante ma è anche vero che, ad avviso di chi scrive, l’adozione consensuale si pone in netto contrasto con i principi costituzionali di cui agli artt. 2, 29, 30 e 31 Cost.

Consapevole del profilo di cui sopra, la Corte aggiunge, quasi alla stregua di un obiter dictum, che la giurisprudenza costituzionale e quella di legittimità avrebbero univocamente escluso che il fondamento consensuale di procedimenti adottivi esteri sia da ritenere incompatibile con i principi di ordine pubblico. Le Sezioni Unite richiamano a tal fine un risalente precedente della Corte costituzionale[17], che appunto smentiva l’aprioristica contrarietà della adozione c.d. volontaria ai principi supremi[18].

Come le stesse Sezioni Unite precisano, tuttavia, il precedente della Consulta attiene a un contesto normativo diverso da quello proprio dei fatti di causa. Si trattava infatti di una fattispecie di adozione internazionale – peraltro sottoposta a un regime ora abrogato -, e segnatamente di vagliare la compatibilità sotto il profilo costituzionale di un’adozione volontaria recata dalla legge straniera. In tale occasione il giudice delle leggi aveva precisato che la connotazione consensuale dell’adozione estera non costituiva di per sé un impedimento, dovendosi invece controllare la documentazione alla base del provvedimento estero, al fine di verificare la reale condizione di adottabilità del minore. Nella misura in cui dagli atti stranieri non fosse evincibile tale circostanza, la Corte costituzionale indicava al giudice italiano di apprestare idonee indagini, avvalendosi delle preposte autorità consolari. È allora la puntuale ed effettiva possibilità, in capo all’autorità giudiziaria interna, di appurare lo stato di abbandono del minore a conformare le adozioni consensuali straniere all’ordine costituzionale: un test, sembrerebbe, più impegnativo di quello indicato dalle Sezioni Unite, che si riferiscono esclusivamente alle allegazioni e alle prove recate dalle parti.

Nelle parole della Consulta, la compatibilità con i principi costituzionali del riconoscimento di adozioni consensuali straniere “non vuol dire che, di fronte al rischio di violazioni dei diritti del minore, sia possibile una acquiescenza facendo esclusivo riferimento ad eventuali controlli altrui: tanto meno è possibile ignorare o sottovalutare la difficoltà del giudice italiano di accertare – una volta che il minore sia giunto in Italia – che un illecito commercio vi è stato. La doverosa salvaguardia dei principi costituzionali impone, invece, che da parte del legislatore e delle autorità preposte siano adottate tutte le più opportune iniziative idonee ad impedire la diffusione di abusi e di illeciti commerci”. Al fine di accertare l’autentico stato di adottabilità del minore e prevenire abusi dell’istituto a scapito dell’adottando, del resto, la Consulta si era preoccupata di sottolineare che “lo stato di abbandono, dovendo essere effettivo, non può presumersi: esso non può essere dedotto in modo automatico dal consenso, ma va valutato in un quadro di risultanze obiettive che dia sufficienti garanzie”[19].

La Corte costituzionale concludeva affidando al legislatore l’intervento necessario per adeguare a tali coordinate l’impianto legislativo, poi interessato da numerose incisive novelle, prima fra tutte la L. n. 476 del 1998, in attuazione della Convezione dell’Aja del 20 maggio 1993[20].

Alla luce di tali condivisibili affermazioni il richiamo delle Sezioni Unite a quel precedente non persuade e anzi – a ben vedere – rafforza il convincimento che il quadro costituzionale avrebbe richiesto una decisione di segno opposto. Piuttosto, la Corte avrebbe potuto trarre argomento da un passaggio della recente Corte cost. n. 32/2021[21], la quale, con riferimento alla genitorialità intenzionale nella coppia omoaffettiva, si è spinta ad auspicare l’“introduzione di una nuova tipologia di adozione, che attribuisca, con una procedura tempestiva ed efficace, la pienezza dei diritti connessi alla filiazione”.

In ultima analisi, le Sezioni Unite, riferendosi al riconoscimento dell’adozione straniera e al suo presidio giudiziale ex art. 67, L. n. 218/1995, affidano alle allegazioni delle parti piuttosto che ai poteri d’ufficio del giudicante[22], attestati sugli ordinari mezzi istruttori, il controllo su eventuali adozioni volontarie “onerose”. A tacere del fatto che il profilo della onerosità non può considerarsi assorbente, in quanto quello che conta è se sussista o meno lo stato di abbandono: la relativa loro emersione, in altre parole, è lasciata alla disponibilità e ai mezzi delle parti, cosicché, se tali aspetti non affiorano, lo stato di adottabilità del minore finisce per essere pressoché presunto e la sua verifica svuotata di una reale portata contenitiva degli abusi.

Si tratta di un esito che in definitiva lascia perplessi, specie alla luce delle recenti decisioni della Suprema Corte[23], che ha autorevolmente ammonito che “L’adozione c.d. ‘legittimante’, che determina, oltre all’acquisto dello stato di figlio degli adottanti in capo all’adottato, ai sensi dell’art. 27, comma 1, L. 4 maggio 1983, n. 184, la cessazione di ogni rapporto dell’adottato con la famiglia d’origine, ai sensi del comma 3, coesiste nell’ordinamento con la diversa disciplina ‘dell’adozione in casi particolari’, prevista dall’art. 44, L. n. 184 del 1983, che non comporta l’esclusione dei rapporti tra l’adottato e la famiglia d’origine; in applicazione degli artt. 8 CEDU; 30 Cost.; 1, L. n. 184 del 1983 e 315-bis, comma 2, c.c., nonché delle sentenze in materia della Corte EDU, il giudice chiamato a decidere sullo stato di abbandono del minore, e quindi sulla dichiarazione di adottabilità, deve accertare la sussistenza dell’interesse del medesimo a conservare il legame con i suoi genitori biologici, pur se deficitari nelle loro capacità genitoriali, costituendo l’adozione legittimante ‘un’extrema ratio’ cui può pervenirsi nel solo caso in cui non si ravvisi tale interesse; il modello di adozione in casi particolari, e segnatamente la previsione di cui all’art. 44, lett. d), L. n. 184 del 1983, può, nei singoli casi concreti e previo compimento delle opportune indagini istruttorie, costituire un idoneo strumento giuridico per il ricorso alla c.d. ‘adozione mite’, al fine di non recidere del tutto, nell’accertato interesse del minore, il rapporto tra quest’ultimo e la famiglia d’origine”.

In conclusione, la decisione delle Sezioni Unite conferma che talvolta l’adozione costituisce il campo in cui, fronteggiandosi diritti degli adulti e diritti dei minori, si assistite, come è stato acutamente evidenziato, a una vera e propria eterogenesi dei fini: “la dichiarata priorità dell’interesse del minore si risolve nell’effettiva promozione dell’interesse degli adulti”[24].


NOTE

[1] In Foro it., 2020, I, 31, con nota di Casaburi, Omogenitorialità tormentata tra sussulti e grida.

[2] Al riguardo si v. la pregevole memoria della Procura Generale in data 28 dicembre 2020 a firma della Dott. Luisa De Renzis, consultabile al collegamento https://www.procuracassazione.it/procuragenerale-resources/resources/cms/documents/RG_021223-2017.pdf.

[3] Corte cost. 7 aprile 2016, n. 76, in Giur. cost., 2016, 2, 691 ss., con nota di Schillaci, Un’inammissibilità che “dice” molto. la Corte costituzionale e la trascrizione dei provvedimenti stranieri di adozione coparentale in coppia omosessuale e in Riv. dir. int. priv. proc., 2016, 754 ss., con commento di Lopes Pegna, Effetti in Italia della adozione coparentale pronunciata all’estero: vecchie e nuove questioni, 725 ss.

[4] Barel, Genitorialità e riconoscimento degli status acquisiti all’estero, in GenIUS, 2021, 1, 53; Id., Le nuove frontiere dell’adozione dei minori, ivi, 2020, 1, 7. Cfr. l’art. 2 della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L’Aja il 29 maggio 1993: al documento fa rinvio l’art. 29, L. n. 184/1983, priva, come è stato notato – Lopes Pegna, Effetti in Italia della adozione co-parentale pronunciata all’estero: vecchie e nuove questioni, cit., 732 -, di una definizione dell’istituto che reca.

[5] Barel, Genitorialità e riconoscimento degli status acquisiti all’estero, cit., 53.

[6] F. Mosconi – C. Campiglio, Diritto internazionale privato e processuale. Statuto personale e diritti reali, V ed. Torino, 2019, II, 272.

[7] Sulla scorta di un argomento letterale – il riferimento al numero plurale degli adottanti: “cittadini italiani” – e di uno sistematico – nel caso in cui la doppia cittadinanza sia quella del Paese ospite la fattispecie sarebbe del tutto esaurita al suo interno, e come tale l’ordinamento italiano potrebbe solamente riconoscerla -, Barel, Genitorialità e riconoscimento degli status acquisiti all’estero, cit., 53.

[8] Cfr. Barel, Genitorialità e riconoscimento degli status acquisiti all’estero, cit., 54.

[9] F. Mosconi – C. Campiglio, Diritto internazionale privato e processuale. Parte generale e obbligazioni, Milano, 2020, 289. Gli stessi AA. hanno individuato nel perseguimento del miglior interesse del minore il fattore che in subiecta materia finisce per esaurire l’ordine pubblico internazionale: Iid., Diritto internazionale privato e processuale. Statuto personale e diritti reali, cit., 272, i quali specificano che “[l]’interesse superiore del minore, che ispira la normativa italiana in materia di adozione, induce a favorire il più possibile il riconoscimento dei provvedimenti stranieri di adozione e quindi a circoscrivere a casi veramente eccezionali il ricorso al limite dell’ordine pubblico: questo pertanto risulta compresso proprio perché l’interesse del minore deve venire considerato prioritario […]. La necessità di salvaguardare prioritariamente l’interesse del minore rappresenta essa stessa un principio fondamentale per il nostro ordinamento giuridico, presidiato dal limite dell’ordine pubblico ed anzi […] più forte di altri per il nostro ordinamento pur fondamentali principi: un controlimite che prevale sul limite”. Al riguardo si v. però criticamente la già menzionata memoria della Procura generale, la quale nega che la valutazione dell’interesse del minore possa “assurgere a controlimite assoluto, finalizzato a consentire l’ingresso di ogni pratica adottiva estera contraria al limite dell’ordine pubblico e ai vincoli di sistema […]. A monte di ogni operazione di bilanciamento vi è infatti l’esigenza insopprimibile di verificare se il risultato di una ponderazione complessiva dei diritti fondamentali possa favorire realmente quelli che si vogliono tutelare con carattere di preminenza; nel caso in esame, occorre ragionare se il recepimento di adozioni straniere confliggenti con i principi di ordine pubblico sia destinato realmente a favorire una tutela avanzata dei diritti del minore oppure, al contrario, se in questa operazione non vi sia il rischio (concreto) di sovrapporre, con ben più semplici automatismi, gli interessi preminenti degli adulti alla tutela effettiva dei minori (best interests of child)”. In tema v. Sesta, La prospettiva paidocentrica quale fil rouge dell’attuale disciplina giuridica della famiglia, in questa Rivista, 2021, 763 ss.

[10] In giurisprudenza, ha trattato il tema la nota Cass. Civ., SS.UU., 5 luglio 2017, n. 16601, parr. 7.1 e 8, in Nuova giur. civ. comm.,2017, 1399 ss., con note di Gambaro, Le funzioni della responsabilità civile tra diritto giurisprudenziale e dialoghi transnazionali, e Monateri, Le Sezioni Unite e le molteplici funzioni della responsabilità civile. Sul punto cfr. Sesta, Risarcimenti punitivi e legalità costituzionale, in Riv. dir. civ., 2018, 312. Con riguardo al limite dell’ordine pubblico in relazione al riconoscimento di provvedimenti stranieri recanti rapporti di filiazione legati alla maternità surrogata, v. l’approfondita disamina offerta da Baruffi, Gli effetti della maternità surrogata al vaglio della Corte di cassazione italiana e di altre Corti, in Riv. dir. int. priv. proc., 2020, 294 ss.

[11] Nelle parole della Corte, “non tutti i provvedimenti esteri di adozione dei quali si chiede il riconoscimento confluiscono nella definizione normativa di ‘adozione internazionale’, ma al contrario, essa è limitata alle ipotesi in cui i richiedenti risiedano entrambi in Italia, o siano cittadini italiani risiedenti all’estero (art. 29 bis, comma 1 e 2 [l. ad.]). Nella specie il solo ricorrente è cittadino italiano ma ha, nel contempo ottenuto la cittadinanza degli (omissis) per naturalizzazione. Entrambe le parti, infine, risiedono negli (omissis). Difettano, di conseguenza, radicalmente le condizioni soggettive di applicabilità del regime giuridico dell’adozione internazionale al provvedimento adottivo estero oggetto del presente giudizio”. Viene poi richiamata la giurisprudenza costituzionale, la quale “ha sottolineato la necessità di definire con esattezza le qualità soggettive dei richiedenti al fine di collocare il provvedimento da riconoscere nel corretto binario normativo sia in ordine al giudice competente che al contenuto del controllo giurisdizionale sull’atto estero. Nella pronuncia è stato, in particolare, evidenziato che i due commi della norma prevedono differenti e alternativi procedimenti per giungere al riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di adozione e che la competenza del Tribunale per i minorenni, unitamente all’ampiezza del sindacato giurisdizionale ad essa connessa si applica, con riferimento all’ipotesi prevista nella L. n. 184 del 1983, art. 36, comma 4 solo quando il riconoscimento venga richiesto da cittadini italiani che, trasferendo fittiziamente la residenza all’estero mirano ad eludere la rigorosa disciplina nazionale in materia di adozione di minori in stato di abbandono”. Il riferimento è a Corte cost. 7 aprile 2016, n. 76, cit.

[12] Al riguardo Cass. Civ., SS.UU., 8 maggio 2019, n. 12193, in questa Rivista,2019, 653 ss., con note di Dogliotti, Le Sezioni Unite condannano i due padri e assolvono le due madri e Ferrando, Maternità per sostituzione all’estero: le Sezioni Unite dichiarano inammissibile la trascrizione dell’atto di nascita. Un primo commento. Per un’ampia disamina della rilevanza dei profili relativi all’ordine pubblico internazionale, si v. Baruffi, Gli effetti della maternità surrogata al vaglio della Corte di cassazione italiana e di altre Corti, cit., 290 ss.; e già Ead., Co-genitorialità same sex e minori nati con maternità surrogata, in questa Rivista, 2017, 674 ss.

[13] Altrove vengono definite adozioni “indipendenti”, L. Lenti, Diritto di famiglia e servizi sociali, Torino, 2018, II ed., 381.

[14] La Section 116 esemplifica i profili che devono emergere dal controllo: “(a) the marital and family status, and history, of the adoptive parents and adoptive child; (b) the physical and mental health of the adoptive parents and adoptive child; (c) the property owned by and the income of the adoptive parents; (d) the compensation paid or agreed upon with respect to the placement of the child for adoption; (e) whether either adoptive parent has ever been respondent in any proceeding concerning allegedly abused, neglected, abandoned or delinquent children; (f) any other facts relating to the familial, social, religious, emotional and financial circumstances of the adoptive parents which may be relevant to a determination of adoption”.

[15] Si tratta in particolare delle Sections 115-b, parr. 4 e 6 – i genitori biologici revocano il consenso precedentemente espresso e l’opposizione degli adottanti manca o viene respinta – e 116, par. 2 – l’indagine sugli adottanti ha fornito ragioni per distogliere il minore dagli stessi -, le quali appunto contemplano la possibilità che il minore faccia ritorno alla famiglia di origine.

[16] Quanto al caso in esame, da uno stralcio della sentenza della Corte d’Appello citato nella memoria della Procura Generale, risulta solamente che “il giudice della Surrogates Court, valutata l’idoneità della coppia adottante alla stregua dei risultati dell’indagine disposta ai sensi del paragrafo 116 della Domestic Relation Law – DOM (Consolidates Laws, Domestic Relation Law – codes.finlaw.com New York), dando atto che ‘…an investigation having been ordered and made the written report of such investigation having been filed whit the Court, as required by the Domestic Relation Law’…anche sulla base delle informazioni previste dal Social Services Law, ha emesso l’adoption order, ritenendo il provvedimento conforme nel caso concreto a the best interest del minore nato l’11 maggio 2009 a New York, il quale, secondo le disposizioni del paragrafo 117 della richiamata Domestic Relation Law, avrebbe assunto il nome di J.F.M.”.

[17] Corte cost. 11 dicembre 1989, n. 536, in Giur. it., 1990, I, 1, 681, con nota di Chiarella, Provvedimento straniero di adozione consensuale ed efficacia in Italia; in Giust. civ., 1990, I, 298; in Dir. fam., 1990, 354, con nota di De Angelis, L’adozione consensuale dei minori stranieri e la legge 4 maggio 1983, n. 184; in Foro it., 1990, I, 5.

[18] Nel medesimo senso F. Mosconi – C. Campiglio, Diritto internazionale privato e processuale. Statuto personale e diritti reali, cit., 273, ricordando la medesima pronuncia della Corte costituzionale.

[19] Corte cost. n. 536/1989, cit.

[20] In particolare, la L. n. 476/1998, con cui l’Italia ha ratificato e ha dato esecuzione alla Convenzione dell’Aja del 1993, ha opportunamente riservato al tribunale per i minorenni i compiti propriamente giudiziari, attribuendo invece quelli di carattere amministrativo e di politica generale ad un nuovo organismo, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Commissione per le adozioni internazionali (art. 38, L. n. 184/1983 e successive modificazioni), le cui mansioni e la cui organizzazione sono stati disciplinati dal d.P.R. 8 giugno 2007, n. 108 (“Regolamento recante riordino della Commissione per le adozioni internazionali”). Tra le varie attribuzioni, la Commissione rilascia l’autorizzazione agli enti di cui all’art. 31, L. n. 184/1983, autorizza l’ingresso del minore in Italia, certifica la conformità dell’adozione alla Convenzione, conserva tutti gli atti relativi alla procedura, promuove iniziative di formazione per coloro che operano nel campo dell’adozione, e soprattutto mantiene contatti con le Autorità centrali degli altri Stati, collaborando con esse. Ai medesimi enti autorizzati, sono poi tenuti a rivolgersi coloro che aspirano all’adozione internazionale (art. 31, comma 1), ciò contrastando in radice al fenomeno delle “adozioni fai da te”. Una volta che l’ente autorizzato abbia curato le procedure ex art. 31, rimette gli atti alla Commissione per le adozioni internazionali di cui all’art. 38, la quale, se dichiara che l’adozione risponde all’interesse superiore del minore, ne autorizza l’ingresso e la residenza permanente in Italia ai sensi dell’art. 32, L. n. 184/1983. L’adozione pronunciata all’estero produce nell’ordinamento italiano gli effetti dell’adozione interna (artt. 35 e 27, l. ad.), tuttavia il tribunale deve verificare che nel provvedimento dell’autorità estera risulti la sussistenza delle condizioni delle adozioni internazionali previste dall’art. 4 della Convenzione dell’Aja e deve altresì accertare che l’adozione non sia contraria ai principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori (art. 35).

[21] Corte cost. 9 marzo 2021, n. 32, in questa Rivista, 2021, 680 ss., con nota di Dogliotti, Due padri e due madri, qualcosa di nuovo alla Corte costituzionale, ma la via dell’inammissibilità è l’unica percorribile?, e Ferrando, La Corte costituzionale riconosce il diritto dei figli di due mamme o di due papà ad avere due genitori.

[22] Si tratterebbe, in particolare, di ricorrere alle complesse forme dell’assunzione internazionale della prova, ai sensi dell’art. 204 c.p.c.; con riferimento agli Stati membri dell’Unione europea valgono poi le prescrizioni contenute nel Reg. 2020/1783/UE -; per quelli extra UE, invece, è attiva la Convenzione sull’assunzione all’estero delle prove in materia civile o commerciale, conclusa all’Aja il 18 marzo 1970, ratificata con L. n. 745/1980. Con riguardo al rito interno, vanno seguiti gli artt. 67, L. n. 218/1995, e 30, D.Lgs. n. 150/2011, che da par suo si riferisce al procedimento sommario di cognizione.

[23] Cass. Civ., Sez. I, 25 gennaio 2021, n. 1476, ord., con nota di Zanovello, Semiabbandono e interesse del minore alla conservazione dei legami familiari. la cassazione ribadisce il ricorso all’adozione “mite”,in questa Rivista, 2021, 586 ss.

[24] Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, 95. Più di recente cfr. al riguardo Recinto, Un inatteso “revirement” della Suprema Corte in tema di maternità surrogata, in questa Rivista, 2020, 692 s.; Id., Le “pericolose oscillazioni” della Suprema Corte e della Consulta rispetto alla maternità surrogata, in Famiglia e diritto n. 11-2021, 1007 ss.

Competenze

Postato il

8 Novembre 2021

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