Si segnala la recente sentenza n. 1404/2022 del 23/6/2022 della Corte d’Appello di Bologna (il cui testo è qui consultabile:https://www.studiosesta.it/wp-content/uploads/2022/07/sentenza-appello.pdf) in materia di contratto di rendita vitalizia. La pronunzia affronta in particolare il tema dell’accertamento in concreto della sussistenza del requisito dell’alea contrattuale.

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A) La vicenda trae origine da una polizza (ramo vita), denominata “rendita immediata”, sottoscritta dalla Contraente con nota Compagnia di Assicurazione (patrocinata dallo Studio), con contestuale versamento del premio unico. La polizza garantiva alla Contraente, per tutta la durata della sua vita, una rendita annuale, da determinarsi sulla base dell’andamento di un fondo d’investimento.

A seguito della morte della Contraente, avvenuto circa due anni dopo la sottoscrizione in dipendenza di una neoplasia polmonare, i di lei Eredi impugnavano la polizza, chiedendo accertarsene la nullità per difetto di alea; gli Eredi chiedevano altresì la condanna della Compagnia alla restituzione del premio unico a suo tempo versato dalla Contraente, detratte le somme nelle more liquidate a titolo di rendita annuale. In particolare, gli Eredi sostenevano che, tenuto conto dei rendimenti registrati dal fondo d’investimento negli anni successivi alla stipula, la Contraente sarebbe “rientrata” del capitale versato in 18/20 anni, cioè al raggiungimento dell’età di 85/87 anni. Sotto altro profilo, gli Eredi rilevavano che le condizioni di salute della Contraente al tempo della sottoscrizione – con particolare riferimento al fatto che tre anni prima (anno 2006) alla medesima era stato diagnosticato un carcinoma mammario, per il quale era stata sottoposta a trattamento chirurgico e chemioterapico -, erano tali da rendere certo un loro aggravamento a breve termine, con esito letale.

Rigettata la domanda di nullità da parte del Tribunale di Bologna, gli Eredi della Contraente hanno riproposto le proprie doglianze avanti la Corte d’Appello di Bologna.

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B) La polizza oggetto di causa è riconducibile allo schema del contratto di rendita vitalizia, disciplinato dagli artt. 1872 e ss. c.c.

Come esattamente rilevato dai Giudici di appello, l’alea costituisce elemento essenziale di detto tipo contrattuale, di tal ché la relativa mancanza ne determina la radicale nullità.

In particolare, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità cui la Corte bolognese si è conformata (tra le tante, Cass. 19214/2016; Cass. 19763/2005), è necessario verificare, avuto esclusivo riguardo al tempo della conclusione del contratto, se “sussisteva o meno tra le parti il requisito della equivalenza del rischio”, e cioè se in tale momento “era configurabile per il vitaliziato e il vitaliziante una uguale probabilità di guadagno o di perdita, dovendosi tenere conto, a tal fine, con riferimento alle prestazioni delle parti, sia all’entità della rendita che della presumibile durata della stessa, in relazione alla possibilità di sopravvivenza del beneficiario”.

Sulla base di tale principio, l’alea deve ritenersi insussistente allorché l’entità della rendita sia inferiore, pari o di poco superiore al reddito del bene/capitale trasferito in favore del vitaliziante, ovvero nell’ipotesi in cui il vitalizio abbia un’età tale da non poter certamente sopravvivere oltre un arco di tempo prossimo e/o sia affetto da malattia che renda estremamente probabile un epilogo letale in un breve periodo.

Sotto tale ultimo profilo, la Corte Bolognese ha precisato che per escludere l’alea non è di per sé solo sufficiente il fatto che il vitaliziato sia deceduto “immediatamente dopo” la stipula del contratto o a breve distanza, essendo per contro necessario “un collegamento causale dell’evento letale con uno stato patologico [pregresso] che per la sua natura e gravità faccia apparire sicura o estremamente probabile la morte del vitaliziato in un arco di tempo determinabile”. In altre parole, occorre la prova dell’originaria imminenza e prossimità dell’evento morte, di tal ché, al momento della stipula, era già “possibile calcolare, per entrambe le parti, guadagni e perdite”.

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C) Con riferimento alla fattispecie concreta, il Giudice d’appello ha in primo luogo osservato che l’ammontare della rendita liquidabile con scadenza annuale in favore della Contraente non era esattamente predeterminabile al tempo della stipula. Infatti, pur essendo garantita una rendita minima, l’importo in concreto da erogarsi doveva essere di anno in anno determinato tenuto conto dell’andamento dei rendimenti del collegato fondo d’investimento. Come osservato dal Giudice d’appello, nell’eventualità di rendimenti elevati, “la Contraente sarebbe rientrata in minor tempo del premio versato”; per contro, nell’ipotesi di rendimenti più bassi, il recupero del capitale avrebbe richiesto un periodo più lungo (ma comunque non superiore a 18 anni, stante l’importo minimo garantito).

Con specifico riferimento al profilo della variabilità della rendita annua, la Corte bolognese, in applicazione del richiamato principio per cui “l’indagine circa la sussistenza dell’alea deve essere condotta con riferimento esclusivo al tempo della sottoscrizione”, ha escluso, diversamente da quanto prospettato dagli Appellanti, di poter accordare rilevanza al “rendimento effettivamente realizzato” dal fondo negli anni successivi alla stipula. La Corte ha, quindi, evidenziato che la valutazione doveva essere condotta sulla base dei soli dati conoscibili al tempo della stipula e, in particolare, sulla base delle “previsioni” dei rendimenti del fondo di cui al prospetto allegato al contratto (redatto in funzione dell’elaborazione dei rendimenti registrati negli anni precedenti); in base a quanto risultante dal predetto prospetto, il rientro del capitale versato sarebbe avvenuto in 16 anni, quando la Contraente avrebbe avuto 83 anni, “età oltre la quale la sopravvivenza è, in via generale e vieppiù per una donna, del tutto possibile”.

Quanto alle condizioni di salute della Contraente, la Corte d’Appello, ribadito che “la valutazione sull’aspettativa di vita [è] da compiersi ex ante con riferimento al 2009 [data della stipula], sulla base delle risultanze della CTU medico – legale espletata in secondo grado, ha concluso per “l’assenza di prevedibilità al momento della stipulazione del contratto, dell’epoca della morte dell’assicurata, e in particolare della sua non sopravvivenza oltre l’ottantaduesimo anno di età”. In particolare, esaminata la documentazione clinica agli atti, il Consulente aveva ritenuto che la patologia oncologica polmonare diagnosticata nel 2011, da ritenersi causa del decesso, era insorta in modo autonomo e senza alcuna correlazione clinica con il tumore diagnosticato nel 2006, venendo così a mancare, come puntualizzato dal Giudice d’appello, qualsivoglia “dipendenza causale fra la patologia preesistente e quella che causò la morte, e dunque la oggettiva prevedibilità del decesso”.

Sulla base di tali rilievi, la Corte bolognese ha rigettato l’appello promosso dagli Eredi della Contraente e ha concluso per la piena validità della polizza “dovendosi ritenere l’alea esistente”.

Avv. Benedetta De Bellis

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